La Stampa, 21 gennaio 2016
Perché una bambina può giocare con le macchinine e un bambino non può avere le bambole?
Non rendiamo un buon servizio alla futura virilità dei nostri figli maschi se impediamo loro di cullare l’orsacchiotto o nascondiamo una gonna di velo che vogliono indossare per travestirsi. «Un uomo viene fuori bene se ha sviluppato nell’infanzia le capacità di accudimento integrando nel suo maschile tratti psichici tipicamente femminili» dice il pedagogista Daniele Novara, fondatore di Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti. Vale anche l’opposto: «Ad ogni bambina sia dato accesso ai giochi di rischio per integrare il suo maschile».
Però una femmina che vola sulla bici è un mito, un maschio che balla sulle punte molto meno, una fanciulla vestita da Zorro riscuote complimenti, un pargolo con la parrucca di Elisa (Frozen) sarà deriso. In sintesi: alle piccole è consentito esplorare il maschile, ai piccoli il femminile è precluso (quasi) del tutto e spesso con veemenza. Perché? «Tabù culturale, paura che diventi gay, eppure non un solo studio scientifico dimostra una attinenza diretta e specifica tra i giochi e anche i travestimenti con il futuro orientamento sessuale» precisa Novara. Le conoscenze scientifiche non sono entrate nella tradizione culturale né sono state assunte dal marketing dei giocattoli che, a partire dagli Anni 90, promuove una divisione sessista ai limiti del ridicolo: femmine rosa, dolci e glitterate, maschi urlanti, aggressivi e a colori freddi. «Il giocattolo è da sempre strumento di educazione ai comportamenti sociali e di genere ma la sua autentica natura è essere strumento di crescita fisica e psichica. Prendi le macchinine. Giocarci sviluppa il senso del movimento laterale, la velocità e la tridimensionalità: perché privarne le bambine?» ci dice Alessandra Valtieri, autrice di Il Coniglio di Velluto (Giunti) una guida curiosa e godibile al giocattolo da 0 a 6 anni. Negli Anni 40 in America il 20% dei giochi era connotato «solo per femmine» e nel 1972 usciva William’s Doll di Charlotte Zolotow (testo) e William Pène du Bois (matita) un albo illustrato di grande successo che raccontava il desiderio del piccolo William di possedere una bambola, dello scherno dei suoi compagni che lo chiamavano femminuccia e degli inutili tentativi del padre di distrarlo con i guanti da baseball: finché la nonna non decide di regalargliene una, perché accudendola impari a essere un buon papà, proprio come il suo. Ecco perché, dice Valtieri giocattolaia da vent’anni nel cuore di Bologna, ogni volta che un bambino entra nel negozio e si dirige verso le pignatte o i passeggini «mi auguro di vedere alle sue spalle un padre che lo lasci fare, senza paura. Un gioco è un gioco, se lo connotiamo sessualmente ne faremo solo uno strumento per fissare stereotipi svuotandolo di valore evolutivo».