La Stampa, 21 gennaio 2016
Tra Renzi e Junker sono stati solo «scambi virili»
«Non ci sono problemi tra il governo italiano e la Commissione», assicura Jean-Claude Juncker, scandendo le parole. È una dichiarazione importante, un’ammissione da pontiere, che subito viene resa di maggior peso dalla tempesta che scatena su Twitter. I collaboratori del presidente dell’esecutivo Ue la rilanciano all’istante sui social network, perché il messaggio non passi inosservato. Bruxelles vuole archiviare le polemiche con Renzi e il suo Paese, «nell’interesse reciproco», precisa una fonte. Il lussemburghese lo comunica con la leggerezza delle migliori occasioni. «Sono lirico, talvolta», ammette col sorriso, dopo aver sottolineato che «abbiamo avuto scambi maschi e virili, però sono cose normali e non avranno conseguenze».
Lo scambio di accuse
Sono state ventiquattro ore di tentativi anche frenetici di ricucitura dopo gli scambi di verbi accesi degli ultimi giorni. Le notizie che filtrano su Matteo Renzi che rimette mano alla sua squadra europea sono viste come una volontà di tentare un nuovo inizio, occasione che a Bruxelles si vuole sfruttare per normalizzare le relazioni con Roma. I contatti risultano essere stati continui sul quadrato Commissione, Parlamento, Quirinale, Palazzo Chigi. Toni più tranquilli e ragionati anche nella seconda parte della riunione della delegazione Pd a Strasburgo. «C’è una diffusa volontà di chiedere al premier di continuare nella difesa delle prerogative italiane, allargando anche il raggio alle questioni europee», ha detto una fonte politica.
I trenta eletti del Pd vedranno Renzi nel pomeriggio di domani al Nazareno, il che «evidenzia il fatto che si tratti di una riunione di partito», commenta un parlamentare. Il capo del gruppo Socialdemocratico, Gianni Pittella, ha fatto il punto con il presidente della Commissione. «Sono buoni – ha poi raccontato a Radio 2 -: Juncker ha detto “amo Renzi” e Matteo ha espresso stima nei suoi confronti: non confondiamo le questioni politiche con quelle personali». Nei corridoi strasburghesi si racconta anche della tela tessuta dall’alto rappresentante Federica Mogherini, che avrebbe criticato nella riunione del collegio di martedì l’inusuale flusso di dichiarazioni anonime sull’Italia uscite dalle istituzioni. Successivamente avrebbe avuto colloqui con alcuni capi dei gruppi politici, mirati proprio ad aumentare il tasso di serenità interna a un’Ue in difficoltà su troppi fronti.
La linea è condivisa, o almeno pare. «Non c’è nessuna guerra» con l’Italia, ha convenuto il commissario all’Economia, Pierre Moscovici, che ora propone di «abbassare la tensione e lavorare insieme con grande oggettività». Pochi giorni fa il francese s’era rammaricato per il cattivo stato di salute dei rapporti con Roma ed era stato costretto suo malgrado a contrattaccare per difendere le istituzioni e il suo ruolo di custode delle regole. Su questa base, ha fatto capire ieri a Davos, auspica di ripartire.
«Renzi è un leader ambizioso e attento alle riforme e la Commissione ha avuto molte occasioni per mostrare il suo apprezzamento verso quelle riforme», ha aggiunto Moscovici. Non è una frase nuova, ma detta adesso ritrova un senso, sebbene non dia certo per scontato un buon verdetto di Bruxelles sulla legge di Stabilità e i bonus chiesti da Roma. «È chiaro che l’Italia debba ora muoversi per ridurre il debito», ha detto a Bloomberg Tv. È un modo per invitare l’Italia al gran ballo del rispetto delle regole e degli impegni. Le stesse che impongono di risanare ma offrono margini di flessibilità a chi lo fa.