la Repubblica, 21 gennaio 2016
Calenda, Carrai e il rischio di mandare un esercito in guerra con dei generali che non hanno mai fatto parte della truppa
La nomina di Carlo Calenda a rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue marca una rivoluzione copernicana nei rapporti fra il governo e la burocrazia statale. La scelta del viceministro allo Sviluppo economico, in un ruolo tradizionalmente occupato da un diplomatico, dimostra come Renzi sia pronto a superare convenzioni consolidate pur di ottenere i risultati che ritiene più urgenti.
Si tratta di una strategia che ha l’indubbio vantaggio di accorciare la catena di comando e rendere all’apparenza più efficiente l’operato della macchina di governo, ma che allo stesso tempo rischia di compromettere il già delicato rapporto fra il mondo politico e l’universo dei funzionari pubblici.
La scelta di Calenda non è, infatti, un caso isolato. Marco Carrai, imprenditore e testimone di nozze del premier, si avvia a diventare consulente di Palazzo Chigi per la sicurezza informatica e cibernetica, bypassando di fatto le gerarchie dell’apparato di sicurezza del Paese.
Nelle prossime settimane dovrebbe formarsi a Palazzo Chigi una struttura che fungerà da consiglio degli economisti del premier. A presiederla sarà Tommaso Nannicini, professore dell’Università Bocconi, per cui si prevede una nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Nannicini ha già lavorato per diversi mesi a Palazzo Chigi, formando con i due accademici Luigi Marattin e Marco Simoni e, prima della recente scadenza di contratto, l’ex banchiere Carlotta de Franceschi, una squadra a cui il premier si appoggiava per seguire i dossier più delicati, dalla legge di stabilità, agli investimenti stranieri. Ma è chiaro che la creazione di una struttura formale, che dovrebbe prevedere ricercatori e personale di supporto tecnico, creerà una zona di potenziale conflittualità con il ministero dell’Economia e delle Finanze.
Le scelte del premier sono di spessore molto diverso. Nannicini ha fatto vedere negli anni di essere, oltre che uno stimato economista, anche un efficace innovatore, come dimostra la riforma del mercato del lavoro che ha portato avanti in prima persona. Calenda ha seguito con competenza e determinazione le negoziazioni sui trattati di libero scambio tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, oltre che riorganizzare le strutture di approdo per gli investitori stranieri in Italia, anche se restano dei punti interrogativi sulla sua capacità di muoversi in un universo multiforme come quello di Bruxelles. Per Carrai, i suoi investimenti in aziende di sicurezza cibernetica rischiano di essere più che altro un conflitto di interessi, che andrà regolato con il massimo rigore. Le opposizioni sono già sul piede di guerra, mentre alcuni esperti di cybersicurezza hanno pubblicato una lettera molto critica nei confronti della scelta del premier. Il tema più importante è, però, soprattutto quello dei non scelti. Il rischio è che si stia mandando un esercito in guerra con dei generali che non hanno mai fatto parte della truppa. Il morale dell’amministrazione pubblica, che potrebbe ritenersi di fatto commissariata da uomini di diretta emanazione del governo, rischia di scendere. Un pericolo ancora maggiore è che queste individualità vengano percepite come corpi estranei, creando frizioni specie in sedi delicate come l’Ue: si veda il comunicato di ieri del sindacato dei diplomatici italiani, che esprime “notevoli perplessità” per la nomina di Calenda.
Non vi è dubbio che la decisione del premier sia dettata anche dai gravi problemi che affliggono la nostra macchina statale. L’incapacità della Farnesina di proporre un nome fra gli ambasciatori di grado che potesse farsi interprete della nuova strategia del premier a Bruxelles è un dato da non sottovalutare. Vi sono poi gli enormi problemi strutturali che ingessano la burocrazia a tutti i livelli: processi decisionali labirintici, un profilo anagrafico fra i più anziani d’Europa, e la difficoltà ad accettare logiche genuinamente meritocratiche, che finisce per beneficiare spesso i dipendenti pubblici con le migliori connessioni politiche.
L’unica soluzione di lungo periodo passa però attraverso il mutamento del corpo dello Stato. La riforma del ministro per la semplificazione e per l’amministrazione pubblica, Marianna Madia, di cui ancora si attendono i decreti attuativi, dovrà essere un primo passo per un reale rinnovamento della macchina statale. Sono troppi i nostri connazionali che decidono oggi di diventare civil servant all’estero, scegliendo le istituzioni europee, ma anche organizzazioni governative straniere. Dare loro delle opportunità in Italia deve essere una priorità.
Nei prossimi anni, il premier si potrebbe trovare a gestire nomine delicatissime, come il governatore della Banca d’Italia. Il rischio è che questo penchant per le persone che godono della sua fiducia prevalga sul bene delle istituzioni che esse si troveranno a guidare. Il rinnovamento competente, soprattutto in un Paese come l’Italia, è sempre benvenuto. La sostituzione di antiche logiche di potere con altre, solo più nuove, meno.