ItaliaOggi, 20 gennaio 2016
Berlusconi vale il 2-2,5 per cento
Silvio Berlusconi, che ha sempre avuto una grande opinione di se stesso, è diventato improvvisamente umile. Rimane ottimista, ma non si fa grandi illusioni. Oggi, con Forza Italia intorno al dieci per cento nei sondaggi, spiega che se non ci fosse più lui, il capo, il partito di plastica non supererebbe il quattro per cento. Un tempo il suo gradimento al botteghino era tale che persino Checco Zalone ne sarebbe rimasto impressionato. Oggi tutto è cambiato. Anche se è sempre Berlusconi a fare la differenza, si tratta d’una differenza del cinque-sei per cento al massimo. Cifrette, robina. Non è ancora l’inferno dello «zero virgola», ma ci siamo quasi.
Oltre che umile, l’ex Cavaliere è diventato anche imprevedibile. Era a un bivio: uscire senz’altro di scena, o restarsene in un angolo, riservandosi giusto qualche partecipazione straordinaria. Tertium Non Datur. Lui non si è appartato né ritirato. Ha imboccato un’altra via: la strada accidentatissima della reimpatriata, anzi dell’«aritanga» elettorale. Ormai Berlusconi è leader per vizio, e lui chiama questo vizio «necessità». Non lo fa per se stesso, dice, ma per il partito, per il paese, per l’umanità. C’è bisogno di lui: da solo vale il quattro-cinque per cento, mica storie, della metà del corpo elettorale (l’altra metà se ne sta a casa). Metà del quattro-cinque per cento è il due-due e mezzo per cento. Sono meno voti di quanti ne prendessero Rifondazione comunista e i gruppuscoli di Pier Ferdinando Casini o di Clemente Mastella ai tempi in cui votavano quasi tutti gl’italiani. Ma l’ex Cavaliere sembra soddisfatto, o almeno è soddisfatto il Cerchio magico, il più indulgente ma anche il meno affidabile degli stati maggiori politici.
Invece di lasciare la politica, come raccomandano amici e parenti stretti, a chi ha ancora i denti per masticare scontri parlamentari, agguati giornalistici, processi penali e talk show, Berlusconi è tornato a inaugurare la campagna elettorale, in vista delle prossime amministrative, salendo sul predellino di un’automobile, come qualche anno fa, quando un antiberlusconiano di passaggio, immagino per invidia sociale, lo colpì con un Duomo di Milano di gesso dritto sul naso. Anche stavolta è salito sul predellino d’una berlina da sciur a Milano (solo le macchine da sciur hanno ancora il predellino). Non più in centro, però, dove gli elettori in giro per shopping sono berlusconiani per natura, ma in periferia, dove l’invidia sociale è generalmente molto forte. Rischia, cioè, più grosso del solito. Cosa simboleggi la periferia non si sa, né lui lo dice con chiarezza, a parte le solite banalità da conferenza stampa volante. Berlusconi s’unisce al popolo? È questo che s’intende con «populismo»? È un tuffo nel bagno di folla che in certe situazioni forse agisce come una specie di fonte della giovinezza? È in periferia, comunque, che Berlusconi ha dato appuntamento al suo quattro-cinque per cento d’elettori, quanti gliene restano dopo cinque anni più o meno esatti dal sorrisetto col quale Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, subito presi in parola dal presidente della repubblica dell’epoca, gli diedero il benservito.
Passato dal centro all’hinterland, dai negozi eleganti alla sfilata di botteghe periferiche con l’insegna «Compro Oro», dimenticata la rivoluzione liberale di massa, Berlusconi resta fedele soltanto al predellino. Non è poco in quest’età di trasformismi. È sul predellino che sale il leader di plastica per arringare la folla nel solo modo che conosce, barzellette a parte: lodandosi e autocelebrandosi. Non voglio indulgere al facile umorismo, ma questa storia del predellino deve c’entrare qualcosa con la sua altezza, assai meno imponente (com’è noto) della sua personalità. Populista in Italia, l’antico Caimano non attira particolari soprannomi. Populista in America, sarebbe probabilmente noto come el Chapo, o il tappo, lo stesso nome che onora il re dei narcos.