Corriere della Sera, 20 gennaio 2016
Il grande successo dei voucher per sconfiggere il lavoro nero
N el mercato del lavoro italiano c’è un nuovo protagonista: mister Voucher. Lo abbiamo chiamato per regolarizzare il sommerso e lui ci è esploso in mano. Al punto di farci dubitare che si sia veramente limitato al compito che gli avevamo assegnato e non abbia, invece, fatto dell’altro.
I dati resi noti ieri dall’Inps sull’utilizzo del voucher nel 2015 sono sicuramente eclatanti: quegli oltre 100 milioni di buoni venduti tra gennaio e novembre con un incremento del 67,5% sull’anno precedente fanno sicuramente riflettere. E i primi commenti di parte sindacale sono stati durissimi. Luigi Sbarra segretario confederale Cisl ha parlato di «un caporalato cartaceo che piccona le tutele dei lavoratori» e la sua pari grado della Cgil, Serena Sorrentino, ha accusato il governo di «dopare» il mercato del lavoro.
Ma al di là delle prese di posizione è utile tentare di capire cosa ci sia dietro il boom dei voucher ed eventualmente come intervenire in chiave «migliorista».
L’utilizzo del buono (da 10, 20 o 50 euro) nasce per ricondurre nell’alveo della piena legalità e solidarietà quei lavoretti che proprio per essere saltuari spesso finivano fuori legge, senza accantonamenti previdenziali e maturazione dell’indennità di disoccupazione previsti invece dalle nuove norme. Se si può indicare un settore particolarmente vocato a usare i voucher si può pensare ai servizi alla persona, i dati invece ci dicono che la maggior parte è andata a retribuire lavoratori del turismo, del commercio e della ristorazione. E una conferma ci viene dalla disaggregazione del dato nazionale, in testa agli incrementi ci sono Sicilia (+97,4%) e Liguria (+85,6%).
In realtà in più di qualche caso segnalato dai sindacati il voucher è stato utilizzato anche in edilizia. Ogni azienda comunque non potrebbe andare oltre un monte-voucher di 2 mila euro annuali per ciascun lavoratore e però, vista la difficoltà a organizzare ispezioni regolari, non sappiamo nemmeno se questa soglia abbia tenuto o meno. Per farla breve il sospetto è doppio: 1) il voucher è stato usato come «lavoro volante» in sostituzione di altri tipi di contratto a tempo determinato o in somministrazione; 2) il buono nasconde anche una serie di abusi di orario e di eccessivo utilizzo della manodopera di cui sappiamo quasi niente.
Roberto Benaglia segue per la segreteria della Cisl lombarda il mercato del lavoro e il suo è un giudizio ponderato: «Lo strumento di per sé è sano e ci può aiutare a combattere il nero, quindi non va abolito. Caso mai ne va ripensato il perimetro di utilizzo individuando una griglia più vincolante che lo riporti alle origini. A retribuire i lavoretti di giovani e pensionati con il massimo della legalità».
Per l’ex ministro Tiziano Treu è necessario avere più elementi per capire cosa sta succedendo, «altrimenti si ragiona ad orecchio». Ricorda come il voucher sia nato come strumento fornito prevalentemente alle famiglie per poter pagare lavori saltuari e servizi di cura alla persona ed è quindi il welfare l’ambito migliore di utilizzo. «E la norma inserita nella legge di Stabilità che permette nelle imprese strutturate di erogare ai propri dipendenti voucher spendibili nel welfare per molti versi completa la novità». Guardando alle esperienze straniere l’ex ministro sottolinea come in qualche modo il buono «finisca per chiamare la fissazione del salario minimo, come hanno fatto in Germania».
Per il professor Maurizio Del Conte, neo-presidente dell’Anpal (l’agenzia nazionale del lavoro), necessità un’indagine empirica per sapere se è prevalente l’uso del voucher in sostituzione di altri contratti o di elusione delle più elementari norme di diritto del lavoro. «Penso che introducendo sistemi di comunicazione telematica gli abusi nell’acquisto dei voucher si possono sconfiggere». Si dovrebbe quantomeno stroncare la cattiva pratica di chi compra un voucher e lo timbra solo quando vede arrivare l’ispettore sul luogo di lavoro.