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 2016  gennaio 20 Mercoledì calendario

Entro il 2020 spariranno cinque milioni di posti di lavoro (ma se ne dovrebbero creare altrettanti)

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
DAVOS C’è una classifica in cui l’Italia batte la Francia e la Germania. L’argomento è il lavoro e il numero di partenza, a livello internazionale, è impressionante: entro il 2020 spariranno cinque milioni di posti di lavoro in 15 grandi Paesi, per effetto di una serie di cambiamenti tra cui la «quarta rivoluzione industriale», vale a dire le innovazioni e le sinergie in campi come la robotica, l’intelligenza artificiale e le biotecnologie. Ma l’Italia, nella ricerca presentata ieri al «World economic forum», ne esce relativamente indenne. Robot e biotech cancelleranno 200 mila posti di lavoro ma ne creeranno altrettanti. In Francia secondo lo studio spariranno circa 500 mila posti a fronte di 100 mila nuove opportunità con un effetto netto di -400 mila. I 5 milioni totali (in negativo) sono a loro volta il risultato di 7,1 milioni in occupazione al capolinea e 2,1 milioni di nuove opportunità. Saldo negativo anche in Germania (intorno a 600 mila posti di lavoro in meno): le nuove opportunità occupazionali saranno sì circa 500 mila, ma i lavori che spariranno, sempre secondo il report, arriveranno a 1,1 milioni.
Quali i settori che più perderanno e quelli invece che guadagneranno? Lo studio parla di saldi negativi per sanità, energia e servizi finanziari. Beneficeranno invece della «quarta rivoluzione industriale» l’information technology, i servizi professionali, i «media» e l’industria dell’intrattenimento. Tra le economie coperte dalla ricerca ci sono – oltre a Italia, Francia e Germania – anche Stati Uniti, Giappone, Brasile e Cina. Se tra i Paesi c’è chi sale e chi scende, c’è anche una categoria «trasversale» che perde: il lavoro femminile. Entro il 2020, uomini e donne si divideranno più o meno a metà il calo di 5 milioni di posti, ma le donne rappresentano oggi una quota minoritaria della forza lavoro e quindi il divario potrebbe crescere ancora. In tutto ciò una «grande maggioranza» delle imprese sondate nello studio sottolinea l’importanza di investire nelle competenze dei lavoratori, piuttosto che nel puntare su contratti di lavoro di breve durata. Quello che ci aspetta sembra essere una sorta di «meno lavoro, ma più qualificato»: non l’ideale per combattere le disuguaglianze.