L’Illustrazione Italiana, 19 gennaio 2016
I due illustri estinti di Venezia/1. Enrico Castelnuovo
Uno dei più antichi, eletti novellisti dell’Illustrazione Italiana, un amico carissimo che meritava le simpatie delle quali ha sempre goduto per l’amabilità dello spirito e del sorriso. Uno de’suoi volumi di novelle s’intitola Sorrisi e lagrime; ed egli, come il figliuoletto di Ettore nell’Iliade mesceva alle lagrime il sorriso; era un umorista degno del nome, sottile e squisito. Amava la vita, la faceva amare attraverso le vittorie morali, che illustrò sopratutto nel romanzo Nella lotta. Sulle fragilità umane, che ritraeva con mitezza di tocco, spargeva il suo clemente sorriso. Una sola volta, e fu nell’ultimo suo romanzo I Moncalvo, la perenne indulgenza per gli errori umani si mutò in sdegno mal velato dall’arte sua imperturbabilmente serena. Egli, israelita, ritrasse, pose alla berlina, un tipo d’israelita che per emergere nel mondo, rinnega ogni tradizione domestica, ogni convinzione, e si atteggia a uomo di grande importanza, mentre non è che un burattino. Il tipo era studiato sul vero, il continuo maestro di Enrico Castelnuovo; poiché egli era verista prima che diventassero di moda i veristi, oggi messi un po’ a dormire. Se dopo il vero, ebbe un maestro, ma non un ispiratore, fu Carlo Dickens. Più volte, il nome di questo grande verista, sorto prima di Emilio Zola, ma del tutto diverso nella filosofia della vita, nella tecnica, nel genio, più volte il nome di Carlo Dickens venne pronunciato dalle lettrici culte e da critici che si occupavano delle novelle e dei romanzi di Enrico Castelnuovo.
Questi fu un vero innovatore della novella italiana con Vittorio Bersezio, col Barrili, con Salvatore Farina, quando scrivevano ancora novelle regionali Francesco Dall’Ongaro e la contessa friulana Caterina Percoto, che terminavano la tradizione novellistica d’un altro veneto, Luigi Carrèr, di Cesare Cantù, di Giulio Carcano. II popolo era la musa di quei novellisti. Le miserie e gli splendori della gente umile porgevano il tema delle loro narrazioni. Enrico Castelnuovo, nato borghese, vissuto nella borghesia onesta e laboriosa, ritrasse quella più che la classe popolana, dove, in Sicilia, Giovanni Verga doveva trovare caratteri così scultorii, da vero scultore ritratti ad aspri colpi, mentre Edmondo De Amicis apriva anche alla novella il sacrario delle sue tenerezze, e Antonio Caccianiga entrava anch’esso nel drappello dei narratori fluidi, disinvolti, innamorati della bellezza morale.
Enrico Castelnuovo nacque a Firenze il 17 agosto 1839; ma fu portato bambino a Venezia; e visse sempre a Venezia, del cui mite cielo molti riflessi azzurreggiano nelle tranquille e delicate sue pagine. Nei primi anni, fu avviato al commercio; ma fra le botti d’olio che doveva ricevere o spedire, il suo spirito di osservazione artistica lo tentava a prendere la penna e scrivere. Nella Strenna veneziana comparvero le sue prime novelle un po’ annacquate, ma limpide e sincere; e così cominciò la sua fama; una fama allora lagunare, finché col mezzo del grande cognato Luigi Luzzatti poté entrare nella Nuova Antologia, nelle appendici della Perseveranza allora apprezzate assai, ed essere edito con un bel volume della Casa Le Mounier, le cui rosee copertine volevano dire le rose della gloria....
Enrico Castelnuovo abbandonò i commerci. Eppure, anche fra i commerci e le industrie, le Muse possono vivere, e accanto ai libri mastri possono aprire il libro dell’arte. Il livornese Carlo Bini, l’autore del Manoscritto d’un prigioniero, forse il primo vero umorista d’Italia, era mercante. Un romanziere tedesco, Federico Guglielmo Hacklànder, soprannominato il Dickens della Germania, arrivò a dipingere al vivo nel suo romanzo Handel and Wandel (Affari e pasticci) le piccole miserie della vita commerciale, perché stette non pochi anni in un negozio di mode. E un altro tedesco, Federico Gerstàcker, sereno umorista, visse anch’egli nel commercio. Fra gli americani, gli industriali- scrittori non sono scarsi; tutt’altro. Il poeta Stoddard fu fonditore in bronzo; Marc Twain fu cercatore d’oro; Bret-Harte fu minatore. A Venezia, dal 1861 al 1865, visse come console l’americano Guglielmo Dean Hoxvells, il quale era autore di romanzi che hanno per scena e soggetto l’Italia, ed era anche un industriale.
Un romanzo di Enrico Castelnuovo, Filippo Passini junior, è la storia d’una casa bancaria; ed è l’unica emanazione della vita d’affari vissuta in gioventù dal nostro romanziere, che poteva trarne, se avesse voluto, una bella messe di documenti umani. Il campo è ancora quasi vergine in Italia. Le passioni, si sa, si scatenano più facilmente nei conflitti dell’interesse che nell’amore. Il denaro, che unisce due ignoti, separa due fratelli. Una voragine. Ma il romanziere di genio può toccarne il fondo.
Un bel mattino, Enrico Castelnuovo, abbandonato definitivamente l’olio per l’inchiostro, divenne direttore d’un giornale quotidiano La Stampa, fondato dal partito moderato liberale di Venezia. Mirabili i suoi articoli sulla morte di Napoleone III e del Mazzini. Ma il giornale, scritto con garbo letterario, aveva pochi lettori, e gli azionisti, pronti sempre ad aprirgli le braccia, non si sentivano pronti ad aprirgli sempre la borsa, La Stampa spirò nel bacio di Enrico Castelnuovo.
Istituitasi a Venezia la Scuola Superiore di Commercio, che la reclamava, con la direzione dell’illustre economista Ferrara, il Castelnuovo fu chiamato a insegnarvi istituzioni commerciali. Un’altra improvvisazione, come si vede; ma felice. II nuovo professore cominciò infatti a studiare la propria materia d’insegnamento con quella coscienza, ch’era la prima sua forza, e la insegnò con amore più anni. Più tardi, salì al seggio di direttore della scuola stessa, e l’anno scorso, per l’inesorabile legge del limite d’età, lasciò il posto, senza i pianti e le recriminazioni d’un altro coetaneo novelliere; bensì serenamente ossequioso alla legge, e festeggiatissimo.
Aveva già lasciato, da alcuni anni, la penna del romanziere, e prese quella del narratore di memorie cittadine, frequentando le biblioteche e, nelle solite ore sacramentali, l’immortale, garrulo Caffè Florian, dove, con gli amici fedeli, discuteva sulle vicende del giorno.
Un saluto e il più vivo rimpianto a questo figlio prediletto della modestia, e sdegnoso di lodi! Un saluto alla penna, squisita ricamatrice delle novelle Nevica e La mano della vicina; alla penna che diè i romanzi Lauretta e Due convinzioni. Le famiglie oneste, e non solo quelle al di qua delle Alpi, hanno amato quella penna. Mentre, al tempo di Castelnuovo, imperversava l’arte dei bassi istinti, egli onorò quegli altri, con la rappresentazione artistica, corretta, senza prediche di morale, che egli abborriva come ogni pedanteria della vita, e delle accademie, bench’egli fosse membro dell’Istituto Veneto; ma, in quell’aula severa, le sue letture geniali parevano farfalle dorate in un tempio.