la Repubblica, 19 gennaio 2016
Ricordiamoci che nei bilanci delle banche italiane ci sono 200 miliardi di crediti deteriorati
Nelle intenzioni del governo, il 2016 doveva essere l’anno della ripartenza. Ma l’immagine che segna questo gennaio per l’economia italiana è il crollo verticale in borsa delle nostre banche, segno di uno scetticismo ormai diffuso verso un settore che per anni abbiamo ritenuto solido.
La prima ragione di questo clima va ricercata nel sentimento di crescente pessimismo che da qualche settimana domina i mercati. Da Wall Street a Shanghai, gli investitori hanno deciso di mollare le loro azioni, ritirandosi verso investimenti tradizionalmente più sicuri. Le banche italiane, come le valute dei mercati emergenti, pagano il prezzo di questo trend mondiale.
La giornata di ieri segna però una specificità italiana e, in particolare, dei nostri istituti di credito. Se i mercati francesi e tedeschi perdono qualche decimo di punto percentuale, le azioni del Monte dei Paschi di Siena, una delle principali banche italiane, sprofondano fino a perdere quasi il 15 per cento. Da Intesa Sanpaolo a Carige, il contagio non risparmia nessuno.
A far paura sono i 200 miliardi di crediti deteriorati che ingombrano i bilanci delle banche dopo sette anni di crisi pressoché ininterrotta. Ma anche il rischio di incidenti di percorso in un anno che si preannuncia complicato, con due istituti, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, che dovranno trovare nuovo capitale sul mercato in un contesto sempre più difficile.
Infine, vi è il passaggio ad una nuova fase storica per il sistema del credito europeo, che con l’arrivo del bail in imporrà sistematicamente perdite agli obbligazionisti e a certi correntisti degli istituti che dovessero trovarsi in seria difficoltà.
La conseguenza è che le banche devono pagare di più per prendere soldi in prestito dal mercato, visti i rischi che si trova davanti l’investitore, non più protetto dalla garanzia di un salvataggio statale.
Parti del sistema bancario italiano rimangono, bisogna ricordarlo, sufficientemente forti. La patrimonializzazione di molte banche resta adeguata, come certificato dai recenti stress test della Banca Centrale Europea. La stessa Bce continua ad offrire liquidità a tassi estremamente bassi agli istituti che ne avessero bisogno.
La fase di consolidamento bancario che dovrebbe seguire la riforma delle banche popolari, passata con merito dal governo l’anno scorso, dovrebbe contribuire a creare delle banche più solide e efficienti, anche se resta incertezza su quando comincerà quest’ondata di fusioni.
È chiaro però che la questione bancaria si impone ora come la principale priorità del governo. In questo, non ha certo aiutato lo scontro con la Commissione Europea sulla creazione di una cosiddetta bad bank, che aiuti le banche a liberarsi dai prestiti andati a male tramite garanzie statali che ne aumentino l’appeal per possibili compratori. La questione si trascina ormai da troppo tempo, contribuendo a questo insopportabile clima di incertezza.
Per un Paese con un debito pubblico alto come l’Italia, chiedere al contribuente di accollarsi altre perdite potenziali è un rischio da maneggiare con molta cura. Il costo della garanzia statale, se alla fine ci sarà, dovrà tenere conto anche di questo. Intanto, ci sono altri provvedimenti a costo zero che il governo potrebbe prendere per aiutare le banche a liberarsi del loro fardello e aiutare a ripristinare il clima di fiducia. Prima di tutto il completamento della riforma fallimentare dell’estate scorsa, attraverso provvedimenti, come una seria riforma della giustizia civile, che rendano ancora più facile recuperare le garanzie dietro i crediti andati a male.
Le difficoltà di questi giorni ci ricordano che il nostro Paese resta un vaso di coccio, esposto alle turbolenze dei mercati. Gli scudi creati dalla Bce intorno al nostro debito pubblico, come ad esempio quantitative easing, hanno disinnescato una fonte di volatilità, ma ne restano altre.
In questo contesto, gli scontri quotidiani tra il governo e Bruxelles, sembrano delle distrazioni controproducenti. L’obbiettivo deve essere rilanciare la crescita, attraverso quei provvedimenti di rafforzamento strutturale dell’Italia su cui il governo aveva spinto con coraggio nei suoi primi mesi di vita, prima di rallentare. Un Paese con prospettive di crescita più solide è anche uno in cui i capitali internazionali vogliono restare.