Corriere della Sera, 19 gennaio 2016
Stallone non è ancora stanco di fare Rocky. E stavolta, forse, ci vince pure l’Oscar
Lo ha detto anche alla serata dei Golden Globe e lo ripete: «Rocky Balboa è stato e per sempre sarà il mio miglior amico e non solo immaginario».
Sylvester Stallone è davvero felice della sua nomination ai prossimi Oscar e della vittoria ai Golden Globe come miglior attore non protagonista in Creed, il film che ha segnato il suo ritorno alla saga che gli ha dato il successo nei panni del pugile. Nel film diretto da Ryan Coogler, Stallone è l’allenatore di Adonis Creed, il figlio dell’amico-rivale morto sul ring prima della nascita di Adonis.
Dice Sly: «Ero un ragazzo con molti sogni, figlio di un barbiere italo-americano e con una madre che si occupava di astrologia e mi prediceva un futuro pieno di soddisfazioni. Non ha sbagliato, ma il mio più grande successo – me lo ripeto sempre – non è la mia carriera bensì la mia famiglia. Sono grato a mia moglie Jennifer Flavin e alle nostre bellissime tre figlie: loro sono il mio vero gol della mia vita».
Erano tutte con lei ai Golden Globes, le porterà agli Oscar?
«L’Academy centellina gli inviti. Comunque non penso alla mitica statuetta, ma se arriverà in questa fertile fase della mia vita ne sarò per quel che mi resta della vita fierissimo».
Con lei ha recitato da protagonista Michael B. Jordan, fuori dalle nomination. Che pensa delle critiche sull’esclusione degli afroamericani?
«Sono d’accordo con chi protesta. Il cinema più che mai oggi ha bisogno di varietà e integrazione di culture. Jordan è un magnifico attore».
È vero che Ryan Coogler ha faticato a convincerla a riprendere il personaggio di Balboa?
«Verissimo. Avevo molti dubbi ma Ryan con la sua energia e determinazione mi ha convinto. Non ho saputo resistere alla ferrea volontà della sua proposta di riportare Rocky sullo schermo».
Pensa che i ragazzi di oggi siano andati a vedere il film?
«Ho questo riscontro da molte lettere e dagli amici delle mie figlie. Rocky è in pensione, ma, in fondo, è ancora un vincitore, soprattutto un combattente con valori della sua vita, e l’America ama chi sa lottare e vincere».
A cosa si deve, secondo lei, il grande successo di tutta la saga di Rocky?
«Al cuore e ai sentimenti che ho sempre dato ai miei personaggi. In fondo Rocky e anche Rambo hanno scritto molte pagine della mia biografia e del mio modo di essere e combattere».
Quale ricordo ha degli anni in cui, con poco o quasi nulla, ha scritto la storia di Rocky?
«Furono anni fondamentali nella New York dove volevo il mio posto al sole. La vita mi ha reso forte, in quegli anni ero più vulnerabile, ma sempre ho creduto al valore degli affetti e sono sempre stato vicino a mio figlio Sage la cui morte nel 2012 è stato un dolore che poterò sempre dentro».
Lei ha sempre avuto il culto dell’amicizia, Schwarzenegger lo dice sempre…
«Ritengo l’amicizia uno degli elementi base della vita e ho sempre apprezzato Schwarzy, un uomo che ha saputo costruire molte carriere. Non sono mai stato competitivo, il cinema per me è stata e resta una grande famiglia dove ogni nuovo arrivo porta energie fresche»
Ritiene che negli ultimi anni il grande schermo sia stato impoverito o arricchito dagli effetti speciali?
«Entrambe le cose, ma né Rambo né Rocky ne hanno mai avuto bisogno. I ragazzi di oggi amano la tecnologia, hanno bisogno di effetti mirabolanti per nutrire la loro immaginazione, ma a mio parere sono anche aperti a diverse emozioni e a storie vere».
Lei ama scrivere e dipingere e le sue grandi sculture sono molto quotate. Perché scelse di fare l’attore?
«Mi sentii subito bene su un set, scoprii che riuscivo attraverso la recitazione a esprimere molto di me stesso e, poi, il cinema è sempre stato un compagno delle mie giornate, della mia fantasia e mai dimenticherò il 1977 quando il mio ragazzo italo-americano Rocky portò a casa 10 nomination agli Oscar e 3 statuette e anche il suo posto al sole tra gli eroi di tutti i tempi».
Tutte le critiche americane hanno sostenuto «Creed»: se lo aspettava?
«Mentre giravo sentivo in ogni momento che stavamo dando verità, sentimenti precisi alla storia del ritorno di Rocky. Non penso di essere stato “limitato” da questi personaggi – penso anche a Rambo – ho sempre cercato di dare a entrambi accenti diversi, di farli crescere e anche invecchiare al mio fianco. Non mi spaventano i 70 anni. La giovinezza interiore non è solo legata all’anagrafe e non credo che l’età possa farci perdere sogni».