La Stampa, 19 gennaio 2016
La stepchild adoption esiste da trent’anni. Ma ora si rischia di riconoscere il diritto all’adozione limitandone l’attuazione, ovvero si rischia di fare un pasticcio
Chissà quanti sanno che la stepchild adoption – l’argomento del contendere su cui il Parlamento e il Paese si dividono da giorni – in Italia esiste da più di trent’anni: una legge del 1983, la 184 (modificata da un’altra, la 149, nel 2001) l’ha resa possibile, sebbene limitandola alle coppie eterosessuali e richiedendo come presupposto il matrimonio. Nel 2007 una prima sentenza l’ha estesa alle coppie eterosessuali non sposate. Due sentenze successive, nel 2014 e nel 2015, l’hanno consentita anche a due coppie omosessuali, dopo aver verificato che si trattava di coppie di donne economicamente indipendenti e affettivamente stabili, legate da una relazione ventennale, durante la quale una delle due partners aveva fatto ricorso alla fecondazione artificiale.
Così, anche se non sarà facile per i senatori, e più in generale per il Parlamento legislatore, ignorare il pronunciamento della Corte costituzionale che ha stabilito nel 2010 che il matrimonio è solo quello tra uomo e donna, anche aggirare i diritti affermati dai giudici del Tribunale dei minori potrebbe rivelarsi difficile. Perché il fondamento delle sentenze riguarda sempre la condizione dei figli e il principio, fissato dalla Corte di Cassazione e dalla Corte di Strasburgo, che l’orientamento sessuale non può essere considerato di ostacolo all’adozione.
Vero è che la magistratura si è limitata ad esaminare casi di coppie di fatto composte da donne, e non da uomini, ed è questa possibilità, legata all’ipotesi che il figlio sia stato concepito da una donna estranea alla coppia (tramite, appunto, l’“utero in affitto”) a motivare l’opposizione di un largo fronte parlamentare trasversale composto non esclusivamente da cattolici.
Riconoscere il diritto all’adozione, limitandone in pratica l’attuazione, potrebbe diventare un pasticcio giuridico più complicato del previsto. Ed è anche per questo che il tentativo di arrivare a una mediazione politica e a un testo condiviso finora è apparso impossibile.
La strada trovata alla fine – il testo va in aula senza relatore e senza maggioranza prestabilita, si vota sugli emendamenti e si vede cosa ne viene fuori – comporta un notevole azzardo per i due schieramenti pro e contro la legge. Se passa l’adozione, la pressione dei cattolici e di tutti i contrari ad allargare i diritti delle coppie gay si trasferirà sul Quirinale, dato che tocca a Mattarella firmare e promulgare la legge. Se invece l’adozione non passa, o se la legge viene rinviata, Renzi dovrà vedersela con l’accusa di non aver fatto abbastanza, dopo essersi impegnato pubblicamente a inizio anno a far approvare la legge.