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 2016  gennaio 16 Sabato calendario

Ecco chi è Roberto Giachetti, renziano atipico

Gli amici gli ripetevano, quando Roberto Giachetti nicchiava sulla propria candidatura a sindaco di Roma, quella formula già usata quando Enrico De Nicola era tentato ma anche no da un bis al Quirinale: decidi di decidere se accetti di accettare. Ora Giachetti ha sciolto le proprie riserve. Ha accettato la richiesta di Renzi e comunque non è un renziano dello stretto giro ossia da Giglio Magico, se non altro perché è romano e romanista. Ma è un renziano ante-litteram e un renziano sui generis. Fu seguace di Marco Pannella e per metà lo è ancora, avendo in tasca la doppia tessera dei Radicali e del Pd. A Natale è stato in visita nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Capodanno si è spostato a Rebibbia sempre in nome dei diritti civili, il suo pallino fin da ragazzo libertario, e chissà se quel suo look con barba non rasata, più da assistente sociale che da notabile di una sinistra diventata a Roma impopolare, potrà giovargli nelle urne.
ONE MAN SHOW
Il personaggio, più che da apparato, è da one-man-show. Ha digiunato complessivamente 123 giorni per l’abolizione del Porcellum. Ora è vice-presidente della Camera, ma resta un anti-conformista da buoni rapporti con i grillini come il collega Luigi Di Maio e potenzialmente capace di rubare voti ai 5 stelle a Roma. Quando fu eletto per la prima volta, nel 2001, allestì poco dopo una protesta singolare. Salì su un trespolo montato davanti al portone di Montecitorio e fece la finta statua, per protesta contro la mancata proclamazione di 12 eletti ad un anno dal voto, su quel piedistallo recante la scritta: «Monumento al deputato ignoto».
È dunque il titolare di una strana alchimia. Giachetti appartiene al contesto ma quasi non sembra: il suo linguaggio non politichese e il suo look perennemente scravattato, anche quando dirige l’aula di Montecitorio, lo rende dissimile rispetto all’onorevole cravattone. È un cultore quasi maniacale delle regole parlamentari ma una volta, sfidando il regolamento e gridando «non sopporto le ingiustizie», si tolse la giacca in pieno emiciclo durante la discussione sul conflitto d’interessi ed è stato protagonista di svariate scenette così.
Viene dalla Margherita (e la ditta post-comunista l’avrebbe voluta rottamare quando Renzi ancora era un ragazzotto di belle speranze) ma a differenza di Rutelli pur restando rutelliano (è stato capo della segreteria e poi capo di gabinetto del suo amico Francesco quando era sindaco di Roma) non ha avuto la svolta cattolica. Paolo Gentiloni, ora ministro, è una sorta di suo, diverso, alter ego. Conosce Roma ma il suo handicap di partenza sta nei sondaggi, da cui risulta non ancora molto conosciuto a Roma. Renzi lo avrebbe voluto esibire all’ultima Leopolda insieme a Giuseppe Sala – con questo messaggio: ecco i nostri cavalli di razza che conquisteranno Roma e Milano – ma Giachetti si defilò preferendo parlare a notte fonda e soltanto di riforme costituzionali. Anche se alle sue spalle avevano piazzato una foto allusiva delle grandi bellezze della Capitale e in platea spopolava il motivetto: «Bob Giachetti sindaco di Romaaaaaa....». La Leopolda però non è tutto il Pd.
E comunque ora egli vorrebbe simboleggiare la discontinuità rispetto ai poteri marci della sinistra che hanno infettato Roma. Ma specialmente nelle periferie (non a caso citate così nel suo video: «Da lì si cambiano le città») non sarà facile sormontare il rancore.