il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2016
Un altro sciopero della fame per Pannella (neanche due tumori lo fermano)
Raccontare Marco Pannella vuol dire attraversare qualche mondo e qualche Repubblica, la prima, e quelle che sono seguite, ammesso e non concesso che siano mai arrivate. Nelle stanze di via Torre Argentina, storica sede dei Radicali, lo considerano – e non solo loro – una sorta di monumento all’intelligenza, la genialità, l’intuito politico. Nonostante l’uomo, a 86 anni, abbia tutte le credenziali e le giustificazioni, per non essere quello di quarant’anni fa. La passione è rimasta intatta. Bacia tutti, sulla bocca. E pretende, dal cronista, prima di ogni chiacchiera che faccia un giro per le stanze della sede, attraversata dalle epoche vissute dai Radicali: dal divorzio all’aborto, fino alle marce per la pace, le iniziative sui referendum, più o meno azzeccati. Tutto attraverso i manifesti elettorali. Poi apre ogni stanza. E saluta. Ultima condizione necessaria è salire sulla torretta, un centinaio di gradini, forse di più: si vede Roma a come non si può vedere da nessuna prospettiva: dal Gianicolo al Palatino, da piazza Venezia fino su, a Monte Mario, e laggiù, l’Eur. Un trionfo alla bellezza.
“A questo punto”, dice, possiamo anche partire. Con una premessa”.
Ci dica Pannella. Siamo qui per premesse e aneddoti.
Nessun aneddoto nostalgico. Inizio l’ennesimo sciopero della fame. Ho due tumori, uno al polmone e l’altro al fegato, ma questa è la mia vita civile.
È perché è necessario un altro sciopero?
Forse ne serviranno altri cento. Oggi sono qui per una delle battaglie inascoltate, quella della ragionevole durata dei processi. Che devono essere celebrati a ritmi che riguardano la vita e non la morte. E nemmeno possono finire nel niente, nella prescrizione, o come diavolo si chiama. È un tema che deve essere recepito dal potere e dal contropotere.
Sì, ma il tema è sul tavolo da 40 anni…
Appunto per questo. Oggi però, dopo essere stati ripresi più volte dall’Unione europea e con le Ong che sono pronte a battersi al nostro fianco, siamo in grado di combattere e sconfiggere la non ragionevole durata dei processi.
L’obiettivo?
Molto semplice: fare in modo che i processi durino non più anni, ma mesi. Non ha senso trovarsi ogni volta di fronte a un’amnistia. Io ho combattuto una vita per questo, continuo a trascorrere le festività comandate nelle carceri, tra i detenuti, anche quelli in attesa di giudizio.
Perché il problema non è mai stato risolto?
Perché mettere d’accordo mille comuni avrebbe portato al caos. È la natura. Non si può circoscrivere un lago senza tenere conto degli affluenti e dei confluenti.
Perché oggi si dovrebbe risolvere?
È un problema di civiltà. E mi pare una follia che tutti se ne riempiano la bocca, ma che nessuno ponga le fondamenta per un percorso simile.
Cosa pensa delle riforme costituzionali di Boschi, Renzi e Verdini?
Che non le faranno, che sono una merda, ma che noi non possiamo non appoggiare un percorso federalista che discutiamo dalla nostra nascita. Per adesso non siamo schierati da nessuna parte, tendenzialmente appoggiamo le Riforme, queste ci piacciono meno. Inutile vendere una modernità che venda il futuro, ma esclude i diritti civili che per i Radicali sono una battaglia che è nata insieme a noi.
A quello volevamo arrivare: la presunta svolta riformista che si incaglia sui matrimoni tra persone dello stesso sesso o dal mantenimento del reato di clandestinità.
Certo. Per questo le nostre valutazioni non si sono fermate e non siamo ancora arrivati a una risposta definitiva. Le unioni civili sono un passaggio necessario, determinante. Soprattutto per un partito come il nostro, transnazionale, che ha concretamente e da sempre affrontato i grandi tempi della religiosità.
Le piace questo Paese?
È il primo tra i tanti che ho.
E Renzi?
Non gli sono ostile. Insisto nel dire che la storia Radicale ha orizzonti un pochino più ampi che, più che la democrazia reale, guardano allo Stato di Diritto. Per questo insisto col tema dei processi e della giustizia.
I Radicali in questo momento hanno dei margini di crescita nel consenso?
Sì, non li abbiamo mai persi. Noi abbiamo una storia, non importa se siamo dentro o fuori dal parlamento, le nostre battaglie continuano come è stato dal primo giorno di tanti anni fa. Con la stessa passione. E lo stesso ideale che tiene insieme la religiosità e l’aborto, la pace e le tante Cine.
Cosa dice del Movimento 5 Stelle. Alla radice, forse, qualche similitudine con i Radicali si può ancora trovare, no?.
Non so. Non credo. Qualche assonanza forse esiste col movimento dell’Uomo qualunque che, il Pci, decise di appoggiare pensando di fare un danno a noi. Così non accadde. Noi siamo sempre qui, sono gli altri che non ci sono più. È un dettaglio mica da niente. Noi comunque non ci poniamo mai come opposizione a niente, ma la politica non può essere quella dell’aspettiamo di avere il 51 per cento e poi vediamo. Hanno 150 parlamentari, qualcuno perso per strada, hanno possibilità enormi. Noi non le abbiamo mai avute e abbiamo fatto molto di più per questo Paese. Parlano queste stanze, i soliti manifesti che dicevamo prima.
Di tradimenti e addii ne ha vissuti molti anche lei. Quello che le fa più male?
Sicuramente Emma (Bonino ndr) che ormai non frequenta più. Un tradimento che, da parte sua, è quasi inconsapevole, ma nella realtà dei fatti esiste.
E il peggiore dei figliocci di Pannella?
A chi si riferisce, ai Capezzone?
Anche.
Non mi interessano. Non c’è un peggiore né un migliore.
Il democristiano col quale si è trovato a parlare la stessa lingua?
Mino Martinazzoli.
E coi comunisti?
Enrico (Berlinguer ndr), ovvio, ma c’erano una serie di comunisti come Macaluso, Cossutta, Trombadori, Vidali, coi quali il dialogo era quotidiano, costante.
Alla prossima battaglia. In bocca al lupo.
Sono già in guerra, i tumori su di me non hanno effetto.