la Repubblica, 18 gennaio 2016
Brema 1966, a cinquant’anni dalla Superga del nuoto italiano
L’ultima bracciata non ci fu. Sparì anche il traguardo. Per 12 secondi. Per una coincidenza persa a Francoforte. L’aereo non li aspettò e decollò e atterrò senza problemi. Con 9 posti vuoti. I loro. Quello seguente, un Convair, non arrivò mai. Dovevano essere il ’68 dello sport. Invece diventarono la generazione perduta. L’Italia era davanti alla tv a guardare il festival di Sanremo: «Dio, come ti amo», cantavano Modugno e Cinquetti, mentre Caterina Caselli più spregiudicata urlava «Nessuno mi può giudicare». Su Brema quella sera cadeva pioggia e nebbia. Ma il boato vicino all’aeroporto si sentì. Era il 28 gennaio 1966. L’oste Heinz Strangmann uscì fuori dal suo locale e corse per i campi ridotti ad acquitrino. Chiamò, ma inutilmente: mille pezzi, ma nessun superstite. Di integro restava solo il timone di coda, l’ala destra, le staffe del carrello. Il resto era carbonizzato. Era il primo incidente nella storia della Lufthansa. 46 morti. Il calcio italiano ha Superga, molto ricordata. Il nuoto italiano ha Brema, molto dimenticata.
Cinquanta anni dopo Dario Ricci racconta nel libro «I ragazzi di Brema» (Infinitoedizioni) la meglio gioventù del nuoto azzurro che non fece in tempo a diventare grande: quattro ragazzi e tre ragazze. Con loro anche un allenatore e un telecronista della Rai. Per la prima volta un meeting internazionale sarebbe andato in eurovisione. Quella trasferta era un premio da meritare. Bubi Dennerlein, poi allenatore di Novella Calligaris, si salvò perché era in rotta con la federazione. «Non ero d’accordo con certe scelte, così decisi che non sarei partito. Fu la mia fortuna, ma una disgrazia per Paolo Costoli che mi sostituì». Daniela Beneck non andò perché si sposava sua sorella Anna. Gianni Gross, di padre tedesco, saltò la convocazione per la forma scadente. Laura Schiessari, ranista torinese, 17enne, perché si era operata d’appendicite. Pietro Boscaini, stileliberista romano, non partì, era fuori condizione (morì sette anni dopo in un incidente subacqueo). Su quel bimotore Lufthansa in viaggio da Francoforte verso Brema viaggiava la squadra azzurra che stava preparandosi per i Giochi del Messico ’68. A Superga nel ’49 era scomparso il grande Torino, una squadra famosa e piena di titoli, a Brema nel ’66 fu distrutta una nazionale, una gioventù, povera e sconosciuta. Che studiava, lavorava, nuotava.
Daniela Samuele, farfallista, era di Milano e aveva 17anni. Faceva il liceo artistico e in valigia con il costume e l’accappatoio mise il suo primo abito da sera di chiffon. Ci teneva a fare bella figura, anche fuori dalla piscina. Carmen Longo, ranista di Bologna, 19 anni, partì con la borsa con la scritta «Italia» di Tokyo’ 64 e con la preoccupazione della scuola. Sul suo quaderno aveva annotato un verso di Saffo: «Tu giacerai morta, né più alcuna memoria rimarrà di te». Amedeo Chimisso, 20 anni, due giorni prima della tragedia aveva realizzato la miglior prestazione europea sui 200 misti. Si era comprato una giacca per la trasferta. Era figlio di uno scaricatore di porto di Venezia, lavorava come fattorino perché il padre gli aveva detto: «Siete sei figli, non posso mantenervi tutti, se vuoi nuotare, arrangiati». Sergio De Gregorio, 20 anni, bronzo agli europei nei 200 stile, era di Roma come Luciana Massenzi, 21 anni, dorsista, che però era preoccupata del viaggio. «Se mi capiterà qualcosa mi riconoscerete dall’anello». L’aveva detto alla famiglia guardando in tv le immagini dello schianto del Boeing indiano avvenuto sei giorni prima sul Monte Bianco. Bruno Bianchi, 23 anni, era il più anziano e anche il capitano, nato a Trieste, viveva da solo a Torino e lavorava alla Fiat per mantenersi all’università dove era iscritto a Fisica. A Natale era riuscito a comperarsi una 500, la sua prima auto. Non gli piaceva volare d’inverno: «Brutto affare con questa nebbia». Chiaffredo «Dino» Rora, 21 anni, dorsista, torinese, anche lui impiegato alla Fiat dove suo padre era collaudatore, era allegro nel fare le valigie. Ma prima di partire chiamò casa e disse: «Perdonami, mamma». Di cosa, scherzò lei. «Di tutto», rispose lui. Paolo Costoli, 56 anni, era un tecnico e un ex nuotatore molto famoso, con esperienze anche in Brasile. Nico Sapio della Rai si era aggiunto all’ultimo, Brema era un meeting internazionale molto importante. Il Convair esplose nel villaggio di Stuhr alle 18.49, per cinque ore non ci fu nessuna informazione. Un testimone, Vittorio Canale, di Capri, capocameriere al ristorante dell’aeroporto parlò di un lampo in aria, «come un flash». Ma non venne creduto. PierPaolo Pasolini andò in tv a «Sprint» a dire che davanti alle foto di quei ragazzi provava disperazione. «Quei visi dimostrano un completo, totale abbandono alla vita. Come forza, come gioventù. Io mi chiedo quale disegno ci sia in questa orrenda disgrazia successa a Brema. Che cosa hanno voluto dire questi giovani a noi che sopravviviamo loro». Dino Buzzati scrisse un articolo dal titolo «I Puri». Ricordava che a Superga era morta una squadra che tutti conoscevano, «i più forti calciatori d’Italia», mentre questi ragazzi erano ignoti «Non erano né ricchi né famosi. A guardare le loro foto fanno tenerezza e pietà. E poi l’Italia era a seguire Sanremo, una gara di nuoto in un paese che non sa stare a galla, non era così interessante». Bubi Dennerlein disse che quella era la generazione del cambiamento. «Il nuoto si stava evolvendo, il lavoro in piscina diventava più intenso, quella nazionale molto dotata stava diventando grande e fu spezzata. Riprendersi fu difficile». Novella Calligaris che all’epoca aveva 12 anni e si allenava a Padova, spiega che il trauma e la paura restarono a lungo: «A Brema da allora in poi andammo in treno, l’aereo era vietato, nemmeno a parlarne. E ricordo Costoli che mi vide bambina e predisse: tu un giorno diventerai qualcuno». Pioveva il giorno dei funerali di stato nella basilica dei SS. Apostoli a Roma. Il risarcimento fu minimo: 10 milioni di lire più 30 dall’assicurazione.
L’inchiesta non spiegò nulla: errore umano e meteo sfavorevole. L’aereo non era vecchio, il pilota (Saalfed) conosceva bene la pista, il corpo del secondo era intatto nella cabina, con nella mano sinistra una tenaglia arrugginita. Perché, se non era nemmeno mancino? Non venne presa in considerazione la telefonata ricevuta un’ora prima dal centralino dell’aeroporto che segnalava un difetto nelle luci di atterraggio della pista. Bianchi, Rora, De Gregorio, Chimisso, Massenzi, Longo, Samele, Costoli, Sapio hanno tutti una piscina o un impianto a loro dedicati. I loro cimeli sono nel Tempio sacrario degli sport nautici a Garzola, poco sopra Como, e i loro nomi sopra una stele inaugurata al Foro Italico di Roma per i mondiali di nuoto 2009. Quei ragazzi del ’66 arrivarono a vincere a Sydney nel 2000 con il primo oro olimpico del nuoto azzurro (Fioravanti). Ma con un’altra generazione e con altri nomi. Ci vollero 34 anni per l’ultima bracciata.