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 2016  gennaio 17 Domenica calendario

La buona notizia del petrolio a basso prezzo che potrebbe metterci nei guai

Due numeri apparsi in questi giorni spiegano meglio di qualunque battibecco una delle vere poste in gioco dell’Italia in Europa. Il primo è dell’Istat: nel 2015 l’inflazione italiana è scesa per il terzo anno consecutivo. Nonostante gli interventi della Banca centrale europea e la firma di diversi rinnovi contrattuali, c’è voluto un anno intero perché i prezzi salissero dello 0,1 per cento. L’altro numero è nell’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia, ed è la previsione di inflazione per quest’anno: se tutto andrà bene, crescerà di tre decimali, ben al di sotto di quel che sperava il governo all’inizio dell’autunno.
Per chi è cresciuto nell’Italia della lira, dell’iperinflazione e delle domeniche a piedi il crollo dei prezzi petroliferi non può che apparire come una buona notizia. Calano il costo delle materie prime, di benzina e gasolio (petrolieri permettendo), aumenta il potere d’acquisto delle famiglie. Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia. Più è bassa l’inflazione, più è basso il valore del prodotto nominale, più aumenta quello del debito pubblico. L’aggiornamento di ottobre del Documento di economia e finanza prevede per il 2016 un «deflatore del Pil» pari all’un per cento, un valore di norma molto vicino a quello dell’inflazione. In nome di questo, lo stock di debito pubblico dovrebbe scendere al 131,4 per cento dal 132,8 di fine 2015. Insomma, se la previsione della Banca d’Italia si rivelerà esatta, la speranza di riportare il debito su una traiettoria discendente rimarrà tale anche nel 2016. Ad oggi il migliore degli scenari è che il debito non aumenti. Perché ciò avvenga occorre sperare che la Federal Reserve non sbagli le sue mosse ed eviti la crisi di qualche Paese emergente, credere nella tenuta della Cina, rispettare le previsioni di crescita e gli obiettivi sulle privatizzazioni, come la più volte rinviata vendita di Ferrovie. Per Bruxelles, che ha già chiuso più di un occhio, i timori sul debito potrebbero essere un ottimo argomento a favore di una procedura di infrazione.
I falchi premono sulla Bce
«Se i numeri dovessero rimanere questi, è evidente che dovremmo rivedere i calcoli e rafforzare le misure di sostegno alla crescita», ammette il viceministro al Tesoro, Enrico Morando. «È altrettanto evidente che se così sarà anche la Banca centrale europea dovrà rafforzare, come già ha annunciato, le misure di politica monetaria». È vero che Mario Draghi ha promesso un ampliamento del piano di acquisti di titoli pubblici, ed è improbabile che faccia il contrario: con uno spread attorno a cento punti base i rischi di un nuovo 2011 sono lontani. Ma è difficile sperare che la Bce risolva da sola tutti i problemi: i falchi del partito spingono sempre più perché Angela Merkel chieda al presidente Bce di porre fine all’eccesso di liquidità. Lo pensano sia il numero uno della Bundesbank Weidmann che il ministro delle Finanze Schaeuble, sempre più spina nel fianco della Cancelliera.
Il redde rationem in Europa è sempre più vicino: da un lato i tedeschi crescono oltre le attese (nel 2015 +1,7 per cento contro una previsione di +1,5), dall’altra l’Italia avanza più lentamente e spera ancora una volta in Francoforte. «Lasciamo da parte le polemiche su chi abbia fatto di più per la flessibilità, se Renzi o il presidente della Commissione europea Juncker», premette Morando. «Il punto è un altro: la politica europea non è coerente con la situazione. La domanda è bassa, e ci vogliono più investimenti. Anni fa Juncker propose l’introduzione di titoli di debito europeo, gli eurobond. Mi accontenterei si emettessero per finanziare un grande piano di infrastrutture». Citofonare Merkel.