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 2016  gennaio 17 Domenica calendario

Come si fabbrica un re. Manuale ad uso degli australiani

Come si evince dalla lettera «La scelta degli australiani: monarchici o repubblicani?», una considerevole parte degli australiani vorrebbe l’indipendenza totale, con il definitivo distacco dalla formale unione alla Corona inglese. Aspirazione legittima, ma perché la nuova Australia dovrebbe essere proprio una repubblica e non una diversa monarchia? Se divorzio ci sarà, perché escludere a priori una forma istituzionale che, per quanto in via d’estinzione, non presenta nessun demerito rispetto all’inflazionata forma repubblicana? Azzardo un paio di proposte per gli indipendentisti australiani. Prima opzione: nella famiglia di Elisabetta II, visto che è madre e nonna di numerosa discendenza, si potrebbe individuare qualche candidato o candidata che accetti l’esclusione dalla linea di successione al trono inglese e invitare la persona prescelta a Canberra, con obbligo di integrarsi definitivamente nella nuova Patria. Seconda opzione: quale gesto di riconciliazione per le terre ancestrali sottratte ai nativi, si potrebbe preferire qualche eminente rappresentante della popolazione aborigena, magari scegliendolo tra i discendenti di qualche antico capo dei vari gruppi indigeni, e, incoronandolo sovrano, rimediare almeno simbolicamente ai gravi torti subiti in passato da quelle genti.
Giorgio Gatti Comini
gigacom@alice.it
Caro Gatti Comini,
Entrambe le sue proposte sono brillanti, anche se difficilmente realizzabili. Ma la prima è meno nuova di quanto sembri e rispecchia la prassi adottata, soprattutto nell’Ottocento, ogniqualvolta le maggiori potenze si accordavano per la formazione di un nuovo Stato. Il caso più importante fu quello del Belgio. Quando le Fiandre occidentali, prevalentemente cattoliche, si staccarono dal Regno dei Paesi Bassi, dove regnava un principe calvinista, Francia e Gran Bretagna negoziarono lungamente per creare un Paese che non desse fastidio né all’una né all’altra. Doveva essere un Regno, beninteso, perché quella era la sola forma costituzionale ammissibile dopo le «pericolose» repubbliche nate in Europa nell’ultimo decennio del XVIII secolo. E aveva bisogno di un re che fosse membro di una famiglia nobiliare gradita ai maggiori sovrani europei. Nel caso del Belgio la scelta, nel 1831, cadde su Leopoldo di Sassonia-Coburgo.
Più o meno nello stesso periodo anche la Grecia, dopo essersi lungamente battuta per la sua indipendenza dall’Impero Ottomano, divenne un regno sotto lo scettro di Ottone di Baviera a cui succedette, nel 1863, il principe Giorgio di Danimarca. Il principato di Bulgaria fu creato dal Congresso di Berlino ed ebbe in dote un principe di Battenberg, Alessandro, molto gradito allora allo zar di Russia. Ma questi ebbe pessimi rapporti con la classe politica locale e fu sostituto nel 1887 da un altro Sassonia-Coburgo. Alla Romania invece toccò un Hohenzollern del ramo Sigmarigen. E la Norvegia, dopo essersi separata dalla Svezia nel 1905, volle sul suo trono un principe danese.
Tutti questi nuovi sovrani provenivano dal mondo germanico, vale a dire dal maggiore vivaio nobiliare europeo. Un brillante saggista francese, Jacques Bainville, calcolò agli inizi del Novecento che la storia della Germania aveva generato circa 300 Stati (fra cui anche molte libere città) e quindi, se si escludono i principi vescovi, un numero difficilmente calcolabile di dinastie. Molte di esse, ormai prive dei loro vecchi feudi, erano sul mercato, disponibili per matrimoni nobiliari e per funzioni pubbliche in Stati alla ricerca di un sovrano. Appartenevano a una categoria meta-nazionale, non diversa da quella dei capitani di ventura e di altre più moderne: i manager delle multinazionali, i direttori d’orchestra e i commissari sportivi.