MilanoFinanza, 16 gennaio 2016
Ecco chi vince a quota 20 dollari
La soglia dei 20 dollari al barile, che solo un mese fa sembrava irraggiungibile, è sempre più vicina. Dopo Goldman Sachs, anche Morgan Stanley e Citigroup si sono allineate a questa previsione, in vista di un’ espansione dell’offerta, causata dall’arrivo sul mercato entro breve (forse prima del previsto, si veda articolo a pag. 12) dell’export iraniano, in seguito alla rimozione delle sanzioni internazionali nei confronti di Teheran.
La conseguenza sarà, a meno di un intervento dell’Opec, un’ulteriore pressione ribassista sui prezzi. Opinione sostenuta da Larry Fink, ad di Wells Fargo. Nel corso di un’intervista a Cnbc, Fink ha sostenuto che «probabilmente dobbiamo ancora testare i minimi», ma quando accadrà «ci saranno buone opportunità di acquisto». Proprio partendo da questo punto, quali settori sono meglio impostati? Quali invece soffrono di più? Il mini-barile è anzitutto una buona notizia per le compagnie aeree, per i produttori di beni di consumo, grazie a un reddito disponibile maggiore, e per le società di raffinazione, perché migliorano i margini, mentre è un problema per le società di esplorazione ed estrazione di petrolio, per il comparto dei servizi petroliferi e anche per i gruppi minerari, che risentono del trend discendente comune a tutte le commodity. Fra i Paesi che beneficiano del crollo del greggio ci sono l’India e in misura minore il Messico (quest’ultimo è un esportatore di greggio). Sono invece dolori per Russia, Brasile e Sud Africa.
Le compagnie aeree. Nel settore delle compagnie aree gli specialisti di Barclays ritengono che gli utili 2016 abbiano un potenziale di rialzo del 50% rispetto al consensus di mercato. «Ipotizzando una domanda stabile, i benefici che derivano dal basso costo del carburante compenseranno le pressioni che derivano dalla necessità di nuovi investimenti, trainando al rialzo i margini». Ma visto che gli investitori potrebbero ritenere che l’impatto sui profitti sia solo temporaneo, vanno privilegiate quelle che dimostrano una capacità strutturale di espansione dei margini reddituali, come Ryanair (prezzo obiettivo 20 euro) e Iag. La compagnia low-cost irlandese sta portando avanti una strategia che consentirà di realizzare un incremento medio a cinque anni degli utili per azione (eps) del 30%, mentre Iag (target 750 pence) ha notevoli chance di migliorare l’utile e il cash flow nel 2016, in un ciclo della redditività che resta sostenibile.
Più complesso lo scenario nel comparto petrolifero europeo dove sono già stati annunciati pesanti tagli degli investimenti. Gli analisti di Ubs, dopo aver rivisto al ribasso la loro stima 2016 sul Wti da 52,50 a 40 dollari e quella del Brent da 57,50 a 42,50 dollari, hanno corretto al ribasso i prezzi obiettivo dei big oil, pur mantenendo però il rating buy (comprare) su alcune compagnie. In vista di un recupero delle quotazioni dell’oro nero verso quei livelli, consigliano di sfruttare l’attuale debolezza dei prezzi per puntare su un numero selezionato di titoli. In particolare sono ottimisti su BG/Royal Dutch Shell, Eni e Galp. Nel caso del colosso Uk indicano un target price di 1.185 pence, mentre per il gruppo guidato da Claudio Descalzi, è 15,5 euro, con un potenziale di crescita del 24%. Dopo il drastico sell-off sono positivi anche su Bp (target 375 pence), mentre la norvegese Statoil non offre una grande visibilità, soprattutto per quanto riguarda i dividendi.
Il minerario. Passando al settore minerario, il cui indice Msci ha accusato da inizio anno sui listini europei un calo del 9,3%, superiore alla media (7,2%), Evelyne Pflugi, gestore del fondo JB Natural Resources, fa notare che «il comparto in realtà beneficia del basso prezzo del petrolio, perché una parte del costo di produzione è legato all’energia. I prezzi di altre commodity diverse dal al greggio sono crollati non tanto per quanto accaduto sul mercato del petrolio, ma a causa di una struttura sfavorevole di domanda e offerta. Per questo l’intero settore ha registrato vendite senza distinzione». In questa prospettiva, a suo parere, sono favorite le società aurifere e quelle che estraggono diamanti. «Queste ultime sono interessanti in funzione del molto probabile rimbalzo dei prezzi, mentre l’oro lo è in conseguenza del miglioramento della struttura di settore, ora più concentrata, che rende più facile la scelta tra le società ancora attive. E questo è vero a prescindere dal rimbalzo del Wti». Un altro gruppo da tenere d’occhio è Rio Tinto. Nonostante i bassi prezzi dei minerali ferrosi, genera infatti abbastanza liquidità da sostenere investimenti e politica dei dividendi.
La raffinazione. Secondo gli analisti di Ubs, i raffinatori europei stanno vivendo un raro periodo di margini elevati. Sono ormai oltre i massimi, ma potrebbero stabilizzarsi nel corso dei prossimi due anni su un livello superiore a quello previsto dal mercato. La domanda di petrolio sta crescendo a un ritmo più veloce di quanto atteso e il basso prezzo del greggio dovrebbe continuare a sostenerla nel breve e medio termine. L’ammontare di nuova capacità netta di raffinazione entrata in funzione nel corso 2015-17 è stata inoltre ridotta a un livello più ragionevole e molti progetti sono stati rinviati. Saras, la compagnia guidata da Massimo Moratti, merita a loro parere il giudizio buy (comprare) con target price 2,05 euro. Giudizio positivo anche sulle greche Motor Oil ed Hellenic Petroleum.
La Russia. Il crollo del greggio ha invece messo in crisi la Russia. «L’andamento del petrolio crea seri rischi alla gestione del bilancio», ha dichiarato il premier Dimitri Medvedev, visto che da petrolio e gas arriva ben più della metà delle entrate fiscali del Paese. Per far fronte a questa situazione, Mosca ha già annunciato l’intenzione di tagliare del 10% la spesa pubblica. «La debolezza dei prezzi delle materie prime ha un impatto pesante sull’economia russa, che non sta mostrando segni di miglioramento sensibili, pur avendo fatto segnare dei lievissimi rimbalzi a livello dei dati macroeconomici più importanti» commenta Matteo Paganini, analista di Fxcm Italia. I tassi di interesse decisi dalla banca centrale russa sono rimasti stabili all’11%, dopo l’inizio della normalizzazione della politica monetaria, mentre il tasso di inflazione ha cominciato a ridimensionarsi, scendendo dal precedente 15,7% all’attuale 12,9%. Con la discesa del barile le previsioni economiche continuano a essere negative e potrebbero verificarsi ulteriori svalutazioni del rublo, che dopo aver rotto al ribasso l’area 72,50, ha effettivamente raggiunto il livello di 80 rubli per euro, andando a superarlo nelle prime giornate dell’anno. «Per assistere a riprese importanti delle quotazioni occorre che il mercato riesca a superare l’importante area di supporto che si muove tra 68,50 e 72,50, ma è difficile che si verifichi nel primo trimestre dell’anno in corso» commenta Paganini.
Sud Africa. Per quanto riguarda il Sud Africa, nonostante il profondo processo di trasformazione che ha portato il Paese a passare a un’economia in cui ricoprono importanti ruoli il settore terziario e industriale, la congiuntura è migliore rispetto a quella russa, ma caratterizzata da alti livelli di disoccupazione, oltre il 25%, e da forti disuguaglianze sociali. Il pil sta crescendo a ritmi intorno all’1%, con un’inflazione al 4,8%, valori relativamente stabili nel corso dell’ultima parte del 2015. I tassi applicati dalla banca centrale rientrano in un mini ciclo restrittivo, al fine di controllare la stabilità dei prezzi e quindi la perdita di valore della valuta nazionale, che ha sfondato quota 16 rand per euro dopo la decisione di Draghi di modificare il Qe della Bce, per portarsi sopra la soglia di 18 dopo le pesanti correzioni vissute sulle borse globali. «Si notano importanti correlazioni con i momenti di avversione al rischio che potrebbero pesare ulteriormente sul rand. Quest’ultimo potrebbe in caso di superamento dei minimi portarsi intorno a quota 20, con riprese probabili solo in caso di ritorno sotto quota 15,50» conclude lo specialista di Fxcm Italia. Un investitore in euro dovrebbe quindi non valutare esposizioni rialziste né sul rublo né sul rand e coprirsi dal rischio di cambio nel caso abbia in portafoglio strumenti finanziari come titoli obbligazionari.