MilanoFinanza, 16 gennaio 2016
È ancora colpa degli hedge found. Ecco perché
Sembra siano passati mesi dall’inizio del 2016, invece sono trascorse soltanto dieci sedute. E l’ultima, quella di venerdì 15 gennaio, è stata particolarmente dura con Piazza Affari che è stata la peggiore d’Europa. Il -3% del Ftse Mib ha fatto tornare l’indice sotto quota 20 mila, ai livelli di 11 mesi fa.
In queste due settimane è accaduto di tutto nelle borse. L’orso è tornato prepotentemente sui listini lasciando attoniti gli stessi grandi gestori di fondi che pure erano moderatamente ottimisti a fine anno sulle prospettive delle borse, ma adesso sono tornati a essere molto prudenti. Dai crolli della Cina ai maxi-ribassi dei titoli automobilistici dove si profilano nuovi scandali, fino ai nuovi ribassi del prezzo del petrolio. Un ciclone che si è concentrato appunto dalla riapertura dei mercati del 4 gennaio a oggi.
Risultato: le borse hanno perso molti dei guadagni realizzati nel 2015. A fare da capofila la Cina. A oggi le performance degli indici cinesi si attestano tra il -16 e il -22%. I listini azionari mondiali hanno risentito di questi crolli e hanno aperto anch’essi l’anno con performance pesantemente negative, anche per il susseguirsi di alcuni dati macroeconomici poco incoraggianti. Il Dax e il Nikkei segnano perdite vicine al 10%, di poco più contenuto il calo degli altri indici con Ftse Mib, Ibex e Nasdaq che da inizio 2016 hanno ceduto fra l’8% e il 9%.
Fatto sta che Piazza Affari ha perso più della metà del rendimento ottenuto in tutto il 2015 (+15%), mentre il listino tedesco ha azzerato i guadagni. «Alla base del movimento i dati macro cinesi che confermano un rallentamento dell’economia», spiegano gli esperti di Bnl. Un quadro complesso, quindi. E così «la diffusa incertezza tende a far vedere agli operatori il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno, come dimostra l’euforia molto breve che ha accompagnato i forti numeri sull’andamento del mercato del lavoro negli Usa», sottolineano ancora gli esperti di Bnl.
Ad amplificare il movimento ribassista ci pensano poi gli hedge fund. Che in momenti come questi cercano di sfruttare al massimo il pessimismo sui mercati per scommettere su ulteriori discese e portare a casa guadagni dopo che nell’ultimo anno i rendimenti non sono stati brillanti per questi gestori. L’indice degli hedge fund Hfri Fund Weighted Composite Index ha chiuso il 2015 con un -0,85%, il quarto anno in rosso dal 1990 a oggi.
Ma il rischio è molto alto. «Gli hedge fund che adesso scommettono aggressivamente al ribasso e che non avranno la capacità di girarsi al momento giusto salteranno», nota Massimo Intropido, analista di Ricerca Finanza a Class Cnbc. Molti ci hanno già lasciato le penne: il crollo del prezzo delle materie prime e la crisi dei Paesi emergenti hanno infatti operato una grande variabilità di risultati nel mondo degli hedge fund. Non a caso il conto delle chiusure nel terzo trimestre del 2015 è arrivato a 257 fondi, dopo i 200 chiusi nel secondo trimestre (tabella in pagina). «Dall’inizio di dicembre 2015 è in corso un attacco speculativo, del tutto inatteso e molto violento, sulle principali piazze borsistiche mondiali; tale movimento è stato generato nel periodo di minore presenza degli operatori sui mercati, ovvero quello delle chiusure dei bilanci delle banche e degli operatori del risparmio gestito», spiega Roberto Russo, ad di Assiteca Sim ricordando che anche al termine del 2014 «abbiamo vissuto un analogo andamento dell’indice Ftse Mib; tuttavia, nei tre mesi successivi il mercato azionario italiano ha realizzato una performance positiva del 33%». Per Russo «ci sono buone ragioni per credere che anche il recente movimento ribassista sia legato alla pura speculazione, oramai le guerre si combattono con i soldi e non con le armi, e non a reali timori sui dati dell’economia reale o sulla sostenibilità degli utili delle aziende». L’esperto di Assiteca evidenzia inoltre che «il forte ribasso del prezzo del petrolio, tornato ai livelli del 2003, rappresenta un notevole vantaggio per l’economia reale, stimolando i consumi e la crescita globale. «Pochi oggi ricordano che nel 2002 il prezzo del petrolio era al di sotto di 20 dollari al barile e che quei valori hanno dato un fortissimo stimolo all’economia mondiale e ai mercati finanziari che, nei cinque anni successivi, hanno vissuto un ciclo tra i migliori degli ultimi decenni». Anche uno strategist di lungo corso come Alessandro Fugnoli di Kairos si chiede il perché del pessimismo così diffuso e profondo di questo periodo. «Avanziamo due ipotesi. Se sono venditori i privati, gli hedge fund, gli esteri e i fondi sovrani e se i fondi long only, tradizionali compratori di inizio anno, rimangono fermi, allora l’onere di sostenere il mercato ricade tutto sui riacquisti di azioni proprie da parte delle società. Non è però molto noto il fatto che i buyback, in America, non sono consentiti nelle cinque settimane che precedono la comunicazione degli utili, che si concentra tra la seconda metà di gennaio e la prima settimana di febbraio. Dal momento che i programmi di riacquisto non sono stati tagliati e in alcuni casi sono stati aumentati, nei prossimi giorni vedremo di nuovo i compratori sul mercato. Avremo quindi, come minimo, meno volatilità e, probabilmente, un po’ più di colore». La seconda ipotesi «è che non sia piaciuta neanche un po’ la conferma dei quattro rialzi dei tassi per quest’anno da parte di Stanley Fischer. Sarebbe bene che la Fed smettesse di gareggiare con la banca centrale cinese a chi comunica peggio», conclude Fignoli.