La Stampa, 16 gennaio 2016
Maria Elena Boschi, un po’ cattolica, un po’ liberale
Per capire la trattativa tortuosa che porterà l’Italia ad avere le unioni civili, è utile tenere presente la storia di Maria Elena Boschi.
È lei la donna che dall’ufficio del ministero delle riforme costituzionali e dei rapporti con il parlamento, cerca di portare a sintesi il ventaglio scivoloso di proposte che, dall’estrema destra all’estrema sinistra, l’instancabile pendolo della politica nostrana ha rovesciato nelle aule parlamentari. A cominciare dalla stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner, che lei vorrebbe, ma che non avrà.
Devota di Matteo Renzi, e in ogni caso sua prima e inossidabile alleata, la ministra trentaquattrenne, avvocato di successo, discreta clarinettista, ex catechista di Laterina, figlia di Pier Luigi – già vicedirettore di Banca Etruria finito in una bufera nella quale si è inevitabilmente trovata anche lei – è una cattolica tendenza Francesco: gli uomini e le donne sono tutti uguali, anche se vanno a letto con persone dello stesso sesso. Del resto si può discutere.
Non una rivoluzionaria catto-comunista, al contrario, una cattolica liberale, gobettianamente parlando, che prima di iscriversi al Pd votava per i Popolari e per la Margherita e che deve il senso di quello che è a un punto di riferimento fondamentale: la famiglia. Padre, madre, fratello e cognata, nonna, ma soprattutto nonno Gloriano, che da qualche anno non c’è più. Tenace e bellissimo – occhi molto azzurri che le ha lasciato in eredità, profilo da Paul Newman, ha sostenuto lei – Gloriano era un contadino. Un uomo della terra chiamato a combattere nella seconda guerra mondiale. Dovendo partire passò dalla sua futura moglie e le disse: al mio ritorno ci sposeremo. Non erano le prime parole che le rivolgeva, ma quasi. Lei lo guardò con dolcezza: pregherò per capire se è giusto. Cercava l’ispirazione celeste. Finito in un campo di lavoro tedesco, Gloriano, che aveva fatto la quarta elementare, le scrisse con continuità. A guerra terminata tornò a Laterina. Lo fece a piedi, perché non aveva né soldi né altri mezzi, e lì replicò la proposta di matrimonio. Tenace, resistente e costante, era certo che anche il cielo sarebbe stato dalla sua parte. Così fu. Al momento di lasciare questo pianeta di fianco a lui c’erano i figli, la moglie e la nipote futuro ministro. La nipote gli chiuse gli occhi. La moglie disse: se n’è andato un cavaliere. Un piccolo film, che al ministro è rimasto in testa. È quando te ne vai che si capisce il tuo valore. C’è o non c’è la famiglia al tuo fianco?
È questo quello che conta. È questo quello che le ha fatto dire – forse in un irrealistico eccesso di autoanalisi – che non sarebbe per nulla a disagio se tra dieci anni invece che a guidare il Paese si trovasse a cullare un figlio o anche a insegnare francese in una scuola di provincia, naturalmente la sua. A Laterina non sei mai solo Maria Elena Boschi. Ma sei la figlia di, quella che andava a scuola con e prendeva il pane da. Insomma, rappresenti la comunità. Non sei una, sei tremilaecinquecento. Ed è stata questa idea che l’ha spinta in politica, trasformandola una macchina da guerra, entrata per la prima volta in azione quando nel 2012 organizzò le primarie di Renzi.
Bell’inizio. Ma è solo sotto l’urto della pluralità che scopriamo davvero chi siamo. E a lei è successo diventando ministro prima e col discusso decreto salva banche poi. Ha retto? Sta reggendo. Contando sul fatto che a poco a poco l’abitudine intacca la sofferenza. E convinta che se anche fra sei mesi dovesse essere costretta alle dimissioni (una ipotesi che in qualche angolo remoto della testa prevede) sarà poi il tempo a darle ragione. È la famiglia la sua unica, granitica, certezza. È quello il nucleo di ogni cosa. Tradizionale o mista che sia.
I suoi collaboratori la descrivono ossessionata dall’idea della meritocrazia. E se qualcuno le chiede se la base del suo evidente successo sia stata davvero quella – la meritocrazia – lei risponde sicura: è proprio per questo che sono qui, chi non crede alla meritocrazia si nasconde dietro agli alibi e non va da nessuna parte. Suggestivo, per quanto non una verità assoluta. Eppure al ministro, una di quelle persone per cui il linguaggio non è un abbellimento gratuito ma una qualità della visione, va riconosciuta per lo meno una grande passione politica. Che non è un requisito sufficiente per cambiare il mondo o per guidarlo, ma sicuramente è un requisito necessario.
In genere gli uomini e le donne che ottengono professionalmente tutto molto in fretta, gli overachiever li chiamano gli americani, sono soggetti a gravi momenti di depressione. Lei no. Non se li consente. «Non sono una di quelle che poi vanno in bagno a tirare pugni sul muro. Non li tiro e basta», ha raccontato al suo staff. E in effetti è quella la sensazione che dà. Resiste. Incassa. Soffre. E in definitiva neppure media. Cerca piuttosto il punto di caduta. Perchè nelle trattative solo i numeri contano.
Vale anche per questa storia delle unioni civili destinate ad arrivare al traguardo menomate e che la Boschi – con qualche ragione – vive invece come una piccola rivoluzione copernicana in una Europa che in larga parte questa rivoluzione l’ha già fatta al cubo. Siamo in fila. Però in cammino. E il prossimo passo magari sarà l’eutanasia, che pure a lei non piace. E poi, chissà, un premier donna. Lei, magari, in un Paese che oggi non le sembra pronto. Perché troppo maschilista. E ancora sbilanciato sul centrodestra. A meno che quel primo ministro donna non sia Renzi con la gonna.