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 2016  gennaio 16 Sabato calendario

Elogio dell’abito usato

Ogni anno il principe Carlo e suo padre Filippo finiscono nelle liste degli uomini più eleganti del mondo in virtù del classico stile Old England del loro abbigliamento: cappotti di cammello, giacche di tweed, berretti da pastore di pecore, l’occasionale kilt scozzese. E ogni anno gli abiti indossati con eleganza da Carlo e Filippo sono gli stessi: da decenni, da trent’anni, nel caso del 94enne principe consorte da oltre mezzo secolo. La famiglia reale, è il messaggio subliminale, non butta niente: casomai mette le toppe sui gomiti lisi, ricicla, cambia gli abbinamenti tra un cardigan e un pantalone. Vale anche per la regina Elisabetta, per Camilla, perfino per Kate Middleton: quel vestitino lo abbiamo già visto, notano puntualmente i giornali del regno.
Ma quando Carlo si presenta per una visita in campagna dentro a un paltò di tweed Anderson & Sheperd con cui fu già fotografato in pubblico trent’anni or sono, l’erede al trono trasuda un piacere che si differenzia da quello delle donne di casa Windsor. Nel caso di Elisabetta, Camilla, Kate, l’intento è dimostrare innanzi tutto parsimonia: i reali d’Inghilterra hanno tanti privilegi ma non sono spendaccioni. Nel caso dei membri maschi della famiglia, c’è probabilmente sotto anche qualcos’altro, che non riguarda soltanto i principi ma un po’ tutto il genere maschile. Se n’è accorto il Daily Telegraph in un recente articolo intitolato: “Perché gli uomini non buttano via i vestiti vecchi?” La risposta di sociologi, stilisti e maître-à-penser è articolata.
L’etica del risparmio, per cominciare, non regge: con i soldi spesi a rattoppare giacche e risuolare scarpe, osserva il quotidiano londinese, si potrebbero comprare abbastanza giacche e scarpe nuove per non andare mai più dal sarto o dal ciabattino. Nemmeno si tratta di ingordigia: le statistiche dicono che ogni donna ha nell’armadio fra il 30 e il 50 per cento di abiti che non indossa da almeno un anno ma non ha la forza di gettare via, mentre il guardaroba degli uomini è mediamente più contenuto.
Le ragioni che impediscono a un maschio di buttare nella spazzatura un vestito bucherellato sono altre. La comodità, anzitutto: «Sono abiti ammorbiditi dall’uso, confortevoli e familiari, in cui l’uomo si sente a suo agio come sulla sua poltrona di pelle preferita in salotto o al club», sostiene la commentatrice di fashion Rowan Pelling. In secondo luogo, pesano i riferimenti o associazioni di pensiero socio- culturali: una giacca di tweed segnata dal tempo evoca fumo di pipa, Sherlock Holmes e caccia Spitfire della seconda guerra mondiale, la sensazione quasi fisica di essere rimasti in contatto con un’altra epoca e con uno stile che non passa mai di moda. Concetto che funziona a meraviglia per i Windsor, ma può affascinare pure chi non ha sangue blu nelle vene e non si sente conservatore in nient’altro, avverte l’edizione europea del Wall Street Journal. Infine c’è la vanità, implicita nell’indossare gli stessi abiti messi dieci, venti o trent’anni prima: segno che puoi ancora entrarci dentro, perché il fisico non è cambiato. Un vizio così diffuso che certe case di abbigliamento sfornano abiti nuovi con l’aspetto di abiti vecchi, mettendo le toppe dove non servirebbero; e per la stessa ragione pre-lavano i jeans fino a farli sembrare vintage. Perciò è maledettamente difficile separare un uomo da un vecchio giaccone, conclude il Telegraph: bisogna aspettare che esca e svuotare l’armadio a sua insaputa.