la Repubblica, 16 gennaio 2016
Come racconta bene le favole Edoardo Bennato
«Ogni favola è un gioco che finisce se senti tutti vissero felici e contenti, forse esiste da sempre, non importa l’età, perché è vera soltanto a metà!».
A bassa voce, come si fa quando si racconta una fiaba, Edoardo Bennato canticchia qualche strofa dei suoi brani e poi sorride.
In un pomeriggio nebbioso a Milano, davanti a una tazza di tè, il cantautore napoletano che ha fatto della favola la cifra stilistica del suo rock da pirata, risponde a domanda citando i suoi testi. «È inconfutabile – dice – nelle mie canzoni le favole suggeriscono le risposte a molti interrogativi sulla nostra società, però insinuano anche dei dubbi. Io le ho scoperte come tutti da bambino, ma poi me ne sono servito per le mie canzonette, per non essere troppo didascalico e cattedratico. Ho sempre temuto di ritrovarmi a fare la lezione di morale. Invece se io prendo una favola, lì c’è già tutta l’impalcatura pronta».
Di storie bizzarre e fantasiose ha farcito tutta la meravigliosa esperienza della paternità raccontandole a sua figlia che oggi ha dieci anni ed è una bimba vispa e simpaticissima. Spiega Bennato: «A Gaia è sempre piaciuto che me le inventassi. E anche sua mamma, a dire il vero, ama ascoltare le favole che nascono dalla mia immaginazione. Le racconto anche a lei. Non mi limito a leggere delle storie, ne creo di nuove per loro due. A volte sono strane, bizzarre, un po’ folli, ci fanno ridere. Ma è così che deve essere una favola secondo me. Dentro c’è il paradosso, la dissacrazione, l’ironia sulla vita reale». Tutto quello che rende così speciali per esempio le avventure di Pinocchio. «Collodi francamente sembra pazzo. Pensiamo a quello che scrive di Pinocchio quando va dal giudice. Il burattino era stato per l’ennesima volta derubato dal gatto e la volpe, lo avevano addirittura impiccato, ma si salvò perché era un burattino di legno. Così andò dal giudice che era un vecchio scimpanzé». Bennato fa qualche secondo di pausa, un lungo respiro, ed improvvisamente torna bambino. «Quando il giudice ascoltò con attenzione il racconto di Pinocchio, in alcuni momenti si commosse, e ad un certo punto quando il burattino ebbe finito di elencare tutte le sue peripezie e disgrazie, si rivolse a due gendarmi, anzi a due cani vestiti da gendarmi, e disse che Pinocchio era stato derubato, oltraggiato, perciò ordinò che lo portassero in prigione. Questa era la follia di Collodi, il più amato dagli italiani. Nelle favole è tutto kafkiano, ma se ci riflettiamo è la nostra esistenza che è folle». Tra i personaggi collodiani e Bennato fu amore a prima vista, anzi alla prima pagina. Ci ha ricamato sopra anche un intero album,
Burattino senza fili, che ottenne uno straordinario successo e che resta profondamente attuale. «Il gatto e la volpe li vedo come i persuasori occulti che fanno leva sulle tue aspirazioni per trarne vantaggio – spiega – sono quelli che ti coinvolgono all’angolo della strada mentre stai entrando a scuola, che ti dicono, ma che ci vai a fare a lezione? Vieni con noi, ti conviene fare il calciatore o il cantante, perché in questo momento sono i due mestieri che vanno per la maggiore. Oppure sono quelli che ti offrono un’alternativa, uno scopo. Sono anche subdoli. Mangiafuoco invece è l’impresario che fa il suo business e gli altri sono i burattini che lui manovra. Nella mia idea, visti sotto un’altra luce, tutti questi personaggi negativi diventano molto coloriti, più accessibili, diretti, ed anche divertenti. È così per Capitan Uncino, o per Spugna, che è il classico fuoricorso che pur di avere un obiettivo nella vita segue Capitan Uncino». La favola però utilizza spesso una lingua che i grandi si sforzano inutilmente di ca- pire, mentre i piccoli riescono a coglierla al volo. «I bambini sono svincolati dai pregiudizi e dai luoghi comuni – insiste Bennato – noi adulti abbiamo troppe certezze e siamo bloccati, anchilosati. I bimbi hanno dubbi e si divertono di più. Quando sto sul palco guardo sempre con la coda dell’occhio dove ci sono dei bambini. Se vedo che ballano e si divertono, allora tutto funziona. I grandi sono ottenebrati dai condizionamenti, invece di divertirsi pensano solo a decifrare ogni cosa». È per questo che le favole non spaventano i bambini ma li aiutano a vincere le loro paure? «Certo. Non è casuale che Esopo e Fedro, che magari erano dei filosofi come Platone o come Aristotele, per essere più convincenti e più divertenti abbiano preso come modelli degli animali, e lì è nato il meccanismo delle favole. Collodi ha scelto quei personaggi perché voleva parlare delle eterne contraddizioni umane, dei difetti degli umani, della loro vulnerabilità». Oggi, a 69 anni, Bennato continua a volare sospeso tra fantasia e realtà, e nel suo nuovo disco c’è una canzone che parla di un’isola vera, dove davvero si va, non solo un’isola esclusiva di Peter Pan. «In “Giro girotondo” invece uso la parola “precipitevolissimevolmente” – racconta divertito – è la prima volta che qualcuno la usa nella musica rock italiana. Ai bambini piace tantissimo, ne sono incantati». Un’altra favola cui Bennato è legato fin da piccolo è “Il pifferaio di Hamelin”. Dieci anni fa l’ha rivisitata in un album molto bello e poco conosciuto, La fantastica storia del pifferaio magico, al quale hanno partecipato fra gli altri Jovanotti, Piero Pelù, Morgan e i Negrita. «Inizia proprio come tutte le favole. C’era una volta una città dove tutto andava a scatafascio, il sindaco e i suoi consiglieri non sapevano più che pesci pigliare, erano impegnati in seduta permanente per trovare una voce su cui risparmiare e sanare il bilancio, fuori la gente protestava, la tv aveva creato assuefazione.
Cioè la vita di oggi raccontata per favola». Irriverente e anarchico, il cantautore di Bagnoli che ha riempito gli stadi e scalato le classifiche è stato sempre un bastian contrario, anche da ragazzo. «Nonostante l’affetto e la serenità che mi hanno dato i miei genitori, ho sempre avuto una specie di ribellione interna. Certe convenzioni non le sopportavo.
A Natale per esempio siccome non mi piaceva quello che per consuetudine si mangiava a casa, come l’insalata di rinforzo o il capitone, me ne andavo in pizzeria. Da bambino ero costretto, ma dai quindici anni in poi quel giorno per protesta uscivo per una pizza. Oggi alla festa di Halloween preferisco quella della Befana, e mia figlia Gaia lo sa bene: in Italia abbiamo rinunciato a tutto, facciamo parte del carrozzone americano».
Intanto gli capita ancora di sognare di volare. «Un sogno ricorrente, dall’alto vedo il mondo da un’altra prospettiva. È tutto così vero, la paura dei burroni, degli strapiombi, ma come nelle favole entro in una condizione mentale che mi aiuta a vedere meglio la realtà che mi circonda».