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 2016  gennaio 16 Sabato calendario

L’ex giocatore di football americano che s’è reinventato cantante (con successo)

È cresciuto prendendo botte, correndo dietro a una palla ovale. Sam Hunt era una potenziale stella del football americano. Poi a 31 anni ha centrato la meta che sognava da tempo. Con «Take Your Time», il ragazzo dalle spalle larghe, nato in Georgia ma cresciuto per farsi le orecchie a Nashville nella patria del country, ha raggiunto 62 milioni di visualizzazioni, è stato nominato ai Grammy Awards 2016 nella categoria «Best New Artist» ed è nella top 20 dei pezzi più trasmessi in radio in Italia. La benedizione gliel’ha data Taylor Swift invitandolo sul palco per duettare con lui l’estate scorsa. Il suo primo album «Montevallo» (dal nome della sua cittadina-rifugio in Alabama) uscito ad ottobre negli Usa è già disco d’oro. «Sapevo che se non ce l’avessi fatta con il football sarei rinato grazie alla musica a Nashville» ha detto. Così dopo la gavetta scrivendo pezzi per i grandi del country, Kenny Chesney, Keith Urban e Billy Currington, è esploso mettendosi in proprio come cantautore. «Da loro ho appreso le regole, poi sono andato oltre per fare qualcosa di unico che rispecchiasse quello che sono» ha detto. In America, come spesso accade, più che dei numeri ci si innamora della storia. Quella di un ragazzo cresciuto grazie allo sport ma con il vizietto della musica.
Oltreoceano una passione piuttosto diffusa. Soprattutto per chi viene dal mondo del basket. Nel dorato mondo dell’Nba si nascondono tanti insospettabili rapper. Su tutti, Shaquille O’Neal che nel 1994, nel pieno dei migliori anni della sua carriera, registrò persino un disco (d’oro) con altri colleghi. «B-Balls Best Kept Secret» ad oggi è l’unico album realizzato da soli giocatori di basket. Andò meno bene a un altro fenomeno della palla a spicchi: Kobe Bryant tentò di intraprendere una carriera parallela col brano «K.O.B.E». La cantò (con risultati modesti) duettando con Tyra Banks durante un intervallo dell’All Star Game.
Sempre dall’America partì la carriera parallela di uno dei più grandi geni della storia del tennis. John McEnroe che si esaltava più con la chitarra in mano che con la racchetta. Agli amici ha sempre detto di sognare di diventare una rockstar. Imparò a suonare grazie a due maestri d’eccezione: Eric Clapton e Eddie Van Halen. La passione per i Nirvana lo spinse a formare un gruppo, la Johnny Smyth Band.
Due anni a suonare dal vivo con risultati alterni lo convinsero che era meglio evitare la scommessa discografica. Andò fino in fondo invece il collega di racchetta Yannick Noah, che, inseguendo il mito di Bob Marley, registrò dieci album tra il 1991 e il 2012. Una bella voce (tutt’ora in voga) rafforzata dall’immagine rasta. Successe anche a Ruud Gullit, il tulipano nero. Che sbarcò nel primo Milan di Berlusconi sul finire degli anni Ottanta insegnando a tutti i compagni il suo amore per la musica reggae e celebrò il 1987, anno del suo Pallone d’Oro, con un 45 giri dedicato a Mandela.
Guardando al passato, il primo a rendere credibile il binomio sport e musica fu Julio Iglesias, che da portiere del Real Madrid mancato, divenne una popstar planetaria. Fu un incidente automobilistico a fagli cambiare carriera. Come al giovane fenomeno del motociclismo James Toseland. Che dopo essersi sbriciolato il polso a più riprese sull’asfalto, l’anno scorso è entrato nella classifica inglese con un album in stile Ac/Dc. Dalla pista al microfono, come Lewis Hamilton. Dopo 43 Gp e 3 mondiali vinti, si è preso una piccola pausa per prendere lezioni di canto. Da due anni gira voce della sua grande passione per il pop, coltivata durante la sua relazione con Nicole Scherzinger, ex cantante delle Pussycat Dolls. Per il Sun, Hamilton ora sarebbe entrato in studio con un vocal coach. Ha promesso un disco entro il 2016. E vista l’abitudine a essere migliore, vuole evitare brutte figure.