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 2016  gennaio 16 Sabato calendario

Juncker si è offeso

Juncker si è offeso. Ha accusato il premier italiano di «vilipendere la Commissione». E, pur con tutto il rispetto per le istituzioni europee, ha esagerato. Ciò che divide Roma da Bruxelles non è infatti una questione di galateo, ma un episodio di lotta politica. E come tale va giudicato. Juncker non è uno sprovveduto, è un alto papavero europeo da un quarto di secolo, non può nascondersi dietro una questione di lesa maestà quando un governo attacca la Commissione. D’altra parte Renzi deve capire che lui non è l’unico leader baciato dal consenso popolare, perché tutti i premier dei 28 Paesi membri sono stati eletti (in elezioni nazionali) e perché lo stesso Juncker è un politico legittimato da un voto, essendo stato candidato come presidente della Commissione dai Popolari europei, vincitori nelle urne. Nessuno può dunque «intimidire» nessuno. Sgombrato il campo dagli inutili «lei non sa chi sono io», si possono individuare meglio origini e soluzioni di uno scontro politico tra Italia e Unione europea con pochi precedenti, e tutti riconducibili all’era Berlusconi. Era infatti prevedibile, e più volte previsto, che la vis polemica con cui il nostro premier ha preso a trattare i problemi europei non avrebbe prodotto partner più disponibili all’ascolto delle nostre ragioni, ma piuttosto il contrario.
Bisogna vedere se quella seguita è la miglior tattica per perseguire l’interesse nazionale italiano, che rimane inestricabilmente legato all’Europa, perché la soluzione di problemi come la gestione del nostro enorme e crescente debito pubblico, il flusso di migranti, la difesa dal terrorismo, o è comune o non è: nemmeno la nuova Italia di Renzi, così sicura di sé, può infatti farcela da sola.
I punti forti delle critiche italiane all’Unione sono noti. Alcuni sono condivisi dallo stesso Juncker. Le chiusure nazionalistiche delle frontiere ai migranti, espediente cui il nostro Paese, pur così in prima linea, non ha mai ceduto, sono motivo di imbarazzo per l’Europa. Ma se a questa realtà si replicasse, da parte italiana, rifiutandosi di partecipare alla spesa comune per blindare in Turchia le frontiere esterne dell’Europa, si ingenererebbe il sospetto che chiediamo aiuto quando i migranti vengono da noi e lo neghiamo quando i migranti vanno in Germania o in Svezia. Questo indebolisce la nostra posizione.
Altra critica giusta che possiamo rivolgere a Bruxelles è il mezzo flop del piano degli investimenti che proprio Juncker aveva annunciato, sperando di moltiplicare i pochi soldi disponibili come i pani e i pesci della parabola. Però sulla flessibilità dei bilanci Juncker non mente quando dice che è stata la Commissione a vararla, seppur su spinta italiana e francese, superando le resistenze tedesche (come il quantitative easing di Draghi, che pure la Bundesbank non voleva). E Moscovici, non certo un falco tedesco, iscritto al Pse come Renzi, ci ha invitato a non abusarne: la flessibilità per definizione non può essere permanente, perché altrimenti diventa nuova regola, che per il momento non c’è.
Il punto è che per averla vinta in Europa bisogna inevitabilmente costruirsi alleanze, e le nostre non si vedono. Renzi è abituato in Italia ad aver ragione dei suoi avversari sfruttando il favore dell’opinione pubblica. Anche questa lite con Juncker non può fargli che bene nei sondaggi. Ma il fatto è che pure gli altri 27 premier europei hanno un’opinione pubblica cui rispondere, e molti di loro guadagnano in popolarità ogni volta che fanno la faccia feroce con l’Italia. Di questo passo si va su una via che non ci conviene. Se la Commissione europea proponesse di aprire contro di noi una procedura di infrazione sul bilancio, le basterebbe trovare l’accordo di un terzo dei Paesi europei per averla vinta, e così l’Italia tornerebbe dove Renzi l’ha trovata, sotto esame e con più vincoli.
Il governo italiano deve dunque farsi alleati. Innanzitutto nella Commissione. Il nostro unico membro in quell’organismo, Federica Mogherini, ha detto ieri che è «stupido creare divisioni in seno all’Europa»: tocca anche a lei prevenire la stupidità. Inoltre Roma deve chiarire quale è la sua proposta per riformare la Ue, invece di infilarsi in una spirale di repliche e ripicche. E su questo le idee non sembrano ancora molto chiare. Il sottosegretario Gozi aveva infatti annunciato da parte di Roma una iniziativa per la revisione dei Trattati, ma il giorno dopo Renzi ha dichiarato che «nessuno sano di mente può imbarcarsi oggi a cambiare i Trattati». È arrivato il momento di scegliere una strada e percorrerla con l’autorevolezza e la serietà che un grande Paese fondatore dell’Europa può vantare: è per questo, come dice Renzi, che «merita rispetto».