16 gennaio 2016
Junker contro Renzi • La giornata nera delle Borse • È in corso un attentato terroristico in Burkina Faso • Finalmente c’è la soluzione al delitto di Lidia Macchi • Metodi svizzeri con i profughi • Sta finendo il cioccolato • Il cinquantenne sieropositivo che adescava ragazzini e li infettava di proposito • Un uomo fa a pezzi la zia
Ue Il presidente lussemburghese della Commissione europea, Jean Claude Juncker, inserendosi negli scontri tra Merkel e Renzi, ha chiuso la conferenza a Bruxelles attaccando quest’ultimo, che lo ha spesso accusato di condotta filo-tedesca: «Il primo ministro italiano, che rispetto e stimo, ha torto a offendere la Commissione in continuazione. Sono rimasto molto sorpreso quando Renzi ha detto che era stato lui a introdurre la flessibilità, ero stato io». La risposta di Renzi: «Non ci facciamo intimidire da dichiarazioni a effetto, l’Italia merita rispetto. Diamo un sacco di soldi a Bruxelles, è finito il tempo in cui loro dettavano le condizioni» (Caizzi, Cds).
Borse Ieri le Borse mondiali sono andate tutte in negativo, bruciando 835 miliardi di euro, pari a circa la metà del Pil italiano. Il segno negativo è dovuto al crollo del petrolio e ai timori sulla crescita asiatica. Milano ha chiuso ieri in calo del 3,07% e dall’inizio dell’anno l’indice è arretrato del 10,4%. Ma non sono andate bene neanche le altre piazze come Francoforte (-2,54%), Parigi (-2,38%) e Londra (-1,93%). Un venerdì nero peri listini europei che hanno detto addio a 260 miliardi di capitalizzazione. E oltreoceano la situazione non è andata meglio: Wall Street è affondata, con il Nasdaq che nel corso della giornata ha ceduto il 3,88% (De Cesare, Cds).
Burkina Faso A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, un commando ha attaccato l’Hotel Splendid e un bar frequentati da occidentali prendendo poi degli ostaggi. Almeno venti le vittime, ma il bilancio è ancora incerto. Per l’assalto c’è una rivendicazione da verificare: Al Qaeda nella terra del Maghreb, formazione attiva tra Nord Africa e Sahel, insieme ai Morabitun. Intorno alle 20.30 testimoni ganno riferito di una sparatoria davanti a un locale. I terroristi (3 o 4) si sono poi spostati nel vicino albergo che ospita staff dell’Onu, diplomatici e anche ufficiali stranieri. Un paio di vetture sono andate in fiamme, c’è stato un nuovo conflitto a fuoco con le forze di sicurezza. Confusione anche sul numero di persone in mano agli assalitori. In città è scattato l’allarme, è stato dichiarato il coprifuoco fino alle 6 della mattina mentre reparti di soldati si sono diretti verso l’albergo (Olimpio, Cds).
Lidia Dopo 29 anni c’è una soluzione al delitto della studentessa Lidia Macchi, violentata e pugnalata 29 volte la notte del 5 gennaio 1987 nei pressi di Cittiglio, a 22 chilometri da Varese. La svolta c’è stata quando una donna di nome Patrizia Bianchi si è presentata alla Polizia: in una trasmissione tv sul caso ha riconosciuto la grafia di una lettera giunta ai genitori della vittima il 10 gennaio del 1987. La lettera, che descriveva minuziosamente il delitto e dunque era stata composta dall’assassino, mostrava la scrittura del suo amico Stefano Binda e consegna alcune cartoline che lui le aveva spedito negli anni ’80. Una perizia accerta che a scrivere poesia e cartoline è stata la stessa mano. Ai tempi il giovane aveva dato un alibi che, però, non era stato verificato: aveva detto di non vedere la compagna di liceo da tre anni e che fino al 6 gennaio ‘87 era in montagna con amici. In verità il giorno del delitto i due si incontrarono. In una stradina dove andava a bucarsi, diventato da poco eroinomane, la violentò e quando la ragazza provò a fuggire la pugnalò ferendola gravemente: la morte per dissanguamento giunse qualche ora dopo. «Il sacrificio è compiuto», scrive il giudice, «non è stato amore ma mera meccanica congiunzione carnale alla quale ogni tipo di carezza è stata estranea. Non è così che doveva andare, non era certo così che Lidia doveva aver immaginato la sua prima volta, ma forse anche Stefano, preda delle sue ossessioni religiose, vive il “dopo” con rabbia e con la sensazione di aver distrutto tutto, soprattutto se stesso» (Guastella, Cds).
Svizzera Nello smistamento dei profughi la Svizzera fa così: all’arrivo in uno dei centri d’accoglienza del Paese qualsiasi bene di valore superiore ai mille franchi (circa 915 euro). Ai richiedenti asilo viene rilasciata una ricevuta, chi sceglie di ripartire entro sette mesi può chiedere la restituzione dei beni depositati. Chi invece si vede riconosciuto il diritto di restare e lavorare deve cedere anche il 10% dello stipendio per un massimo di dieci anni per restituire allo Stato un totale di 15mila franchi (quasi 14mila euro). Un meccanismo che rientra in un sistema di welfare profondamente radicato, basato sul principio dello sforzo comune al quale corrispondono comuni benefici. Ogni mese l’esecutivo federale destina al territorio 1.500 franchi per rifugiato (Natale, Cds).
Cacao Presto protrebbe esserci penuria di cioccolato. Infatti mentre la produzione cala per le malattie che hanno colpito molte piantagioni e l’arretratezza dell’agricoltura nei Paesi africani (Ghana e Costa d’Avorio) che coprono più del 60% della produzione mondiale di cacao, la domanda aumenta. Sempre di più piace il cioccolato fondente, che ha maggiori percentuali di cioccolato, e sta crescendo la richiesta asiatica. Così i prezzi sono aumentati del 40% negli ultimi anni. I grandi produttori prevedono un aumento del 30 per cento della domanda da qui al 2020 (Gaggi, Cds).
Virus C.T, cinquantacinquenne di Collebeato, Brescia, sieropositivo, contattava ragazzini (quasi tutti minorenni e bresciani) sulle chat erotiche per poi incontrarli negli alberghi. Da loro pretendeva rapporti sessuali non protetti perché voleva contagiarli: ne ha infettati a decine. Voleva diffondere il virus che anche lui aveva preso anni fa durante un rapporto occasionale, fidandosi di uno sconosciuto che gli aveva garantito di essere assolutamente sano (Petenzi, Cds).
Delitto Nelly Pagnussat, 78 anni. Nell’appartamento sopra al suo viveva il nipote Riccardo Torta, 68 anni, con problemi psichici e noto ai Servizi sociali del Comune. Questi, robusto e silenzioso, nessuno scambio con gli abitanti del quartiere se non con l’anziana zia, nel 1973 aveva lanciato una lastra di travertino dal ponte dell’Accademia proprio mentre passava un motoscafo della Guardia di Finanza sul quale viaggiavano due finanzieri, Alberto Calascione, morto poco dopo il ricovero all’Ospedale Civile, e Vincenzo di Stefano, che rimase invece gravemente ferito. Nella sera di venerdì scese dall’anziana. Lì rimase per qualche ora. Una vicina disse di aver sentito come un rumore di trapano e nient’altro. Dopo qualche ora di questi che sembrarono lavori in casa, il Torta uscì dall’appartamento, tutto confuso, con in mano una sega elettrica sporca di sangue, e andò a barricarsi in casa sua. Un vicino, temendo cose brutte, avvisò i carabinieri. Trovarono la donna fatta a pezzi e solo dopo svariate ore riuscirono a convincere l’assassino ad aprire la porta. Intorno alle 20 di venerdì 15 gennaio, in un appartamento di un palazzetto a quattro piani in via Ca’ Venier, Mestre.
(a cura di Daria Egidi)