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 2016  gennaio 15 Venerdì calendario

Catalogo delle armi di Mafia Capitale

Mafia Capitale poteva contare anche su mitragliatrici, silenziatori e giubbotti antiproiettili. Un arsenale mai trovato, che potrebbe essere interrato chissà dove. Alla settima udienza dedicata alle indagini dei Ros, il capitano Giorgio Mazzoli ha ricostruito, nel processo frutto dell’inchiesta «Mondo di Mezzo», l’attività di indagine relativa al deposito di armi del gruppo criminale citando una serie di intercettazioni da cui emerge come l’organizzazione guidata dall’ex Nar Massimo Carminati era in possesso di pistole e non solo. Una chiacchierata tra Carminati e il braccio destro Riccardo Brugia, nella primavera del 2013, in cui i due facevano «il punto sull’arsenale che stavano approntando» pare non lasciare dubbi. Carminati confermava all’amico di aver «richiesto due pezzi della Makarov 9 con silenziatore» per ridurre al minimo il rischio di individuazione in caso di utilizzo, grazie alla silenziosità perché «non senti neanche il clack», riferibile alla manovra di armamento della pistola e di aver già speso «esattamente 25mila euro» per quattro «silenziatori» e tre «MP5» pistole mitragliatrici e automatiche.
LE MITRAGLIATRICI
Discorsi che lasciano trapelare l’approccio tecnico alle armi. Al «se spari non senti neanche il clack» di Carminati, Brugia risponde: «Pure se fai una caciarata non se ne accorge nessuno». «Prima che se ne accorgono...cioè... già si è allargata la macchia di sangue» è la risposta del «capo». I due chiacchierano anche della possibilità di dotarsi di giubbotti antiproiettile in kevlar. «Ma dei giubbotti da noi... appizzati ce li dovemo ave ’...eh! Anche perché» dice Brugia, «C’ho sempre avuto la fissa del coso, del povero Danilo». Il riferimento è alla fine fatta il 27 aprile del 1982 dal boss Danilo Abbruciati (appartenente alla Banda Magliana), ucciso in un conflitto a fuoco da una guardia giurata nell’attentato ai danni di Roberto Rosone, il vice presidente dell’Ambrosiano durante la gestione di Roberto Calvi. Carminati «il capo dei capi» come lo ha definito Fabio Gaudenzi, già condannato a 4 anni in una delle tranche dell’inchiesta Mafia Capitale, in una intercettazione ambientale, parlando con la sua fidanzata, sul punto si dice d’accordo: «Se c’hai quello (il giubbotto, ndr) ti salvi».
IL NASCONDIGLIO
In un’altra conversazione è Brugia a rivelare a Carminati che per nascondere le armi utilizza la stalla di casa sua, anche se ha in mente di sfruttare alcuni lavori di ristrutturazione, che gli stavano facendo, per ricavare altri nascondigli, tipo una cassetta in un muro vicino alla legnaia: «Fara’ un pezzo di muro per quello che sta davanti... e poi... di dietro il muro... di giù... famo la cassetta lì alla legna». In casa di Brugia sarebbero però sono state trovate solamente una cassetta interrata nascosta sotto una catasta di legna, un’altra cassetta metallica occultata nel sottotetto di un forno della depandance della villa, e un kit per la pulizia delle armi. «Un nascondiglio di per se’ non è indicativo della presenza di armi, ma un kit di pulizia per armi da fuoco sì» ha spiegato Mazzoli rispondendo, nel controesame, ad una domanda del pm Luca Tescaroli.
Un arsenale probabilmente fatto sparire. D’altra parte Er Pirata sapeva di essere intercettato. Nell’ottobre 2013 – come ha puntualizzato il capitano Mazzoli su domanda dell’avvocato di Libera – due agenti di polizia in borghese a bordo di un’auto della Questura di Roma, si erano presentati in maniera reverenziale al quartier generale di Carminati, la pompa Eni di corso Francia, e gli avevano rivelato che era sotto intercettazione. «Perché adesso te stai sotto indagine» gli aveva detto un poliziotto, «Devi evità». Per poi, dopo una lunga chiacchierata sul suo passato, esclamare: «A Mà, però io so affascinato. Starei due giorni a sentirti».
BUZZI
Intanto al processo è tornato a parlare, in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo, Salvatore Buzzi, il ras delle coop e braccio economico di Mafia Capitale. «Non ho ricevuto io Guarnera, non l’ho mai conosciuto. Forse lo ha visto Bolla», ha detto riferendosi all’imprenditore Cristiano Guarnera e a Claudio Bolla direttore di una delle sue coop, la Eriches, due dei 45 coimputati. Bolla ha risposto dall’aula stizzito: «Non è così».