Sette, 15 gennaio 2016
I miliardari e l’arte
A San Francisco c’è un luogo chiamato Martin Lawrence Galleries. Come suggerisce il nome stesso, è una galleria d’arte che vende quadri e sculture. Ci sono entrato nei primi giorni dell’anno, piccolo provinciale italiano curioso di scoprire qualcuno dei nuovi artisti locali della California del nord.
Non avevo capito niente. Il primo dipinto all’ingresso è una natività di Marc Chagall del 1967, una delle cinque o sei opere dell’artista bielorusso esposte nella galleria. Sulla parete di destra sono appese quattro tele di Dalí, mentre un po’ ovunque nella sala relativamente piccola si possono ammirare almeno sette dipinti di Andy Warhol di circa un metro e mezzo per due. Solo in una stanzetta in fondo a sinistra, un po’ in disparte, si arriva allo spazio dedicato a una decina di Picasso fra disegno a china e dipinti a olio.
Naturalmente i galleristi, due uomini di mezza età, non mi hanno preso sul serio. Deve avermi tradito l’espressione stupefatta o il mio abito da borghese medio – troppo formale, troppo banale – ma dal primo istante sapevano che da me non avrebbero cavato un dollaro. Mi hanno dedicato giusto il minimo di attenzione necessaria ad accertarsi che non disturbassi e mi hanno permesso di rubare quanto potevo con gli occhi. Non credo ci fossero dipinti in vendita per meno di alcune centinaia di migliaia di dollari. A San Francisco, a differenza che a New York o a Hong Kong, non sono i miliardari a dichiarare la propria ricchezza attraverso il comportamento, gli abiti, le auto, o anche solo con un gesto. Sono i passatempi in esposizione per le vie del centro a rivelare la loro presenza.
È normale, nella grande città che vanta la più alta densità di abitanti con un dottorato negli Stati Uniti ed è al centro della rivoluzione tecnologica. Ed è normale in un mondo in cui la finanza, la tecnologia e le nuove competenze producono società sempre più diseguali. Secondo Daniel Treisman dell’Università della California a Los Angeles, anche eliminando l’effetto dell’inflazione, il numero di miliardari nel mondo è salito da 423 nel 1996 a 1.225 l’anno scorso e i loro patrimoni cumulati sono cresciuti da mille a 4.500 miliardi di dollari. Ma quanta di questa ricchezza è concentrata davvero in una élite ristretta, e quanto sono saldi nelle loro posizioni i miliardari negli Stati Uniti rispetto ad altri Paesi? Philip Vermeulen, della Banca centrale europea, ha sviluppato stime sulla quota di patrimoni privati detenuta dall’1% più ricco della popolazione in vari Paesi occidentali. Negli Stati Uniti è compresa fra il 31 e il 37%, ma sorprendentemente il secondo e il terzo Paese dove i patrimoni sembrano più concentrati al vertice sono sistemi di capitalismo molto più regolati e più tassati: la Germania (32-34%) e l’Austria (31-32%). Seguono il Portogallo (23-27%), l’Italia (20-21%), la Francia (19-21%), e la Spagna (15-17%). L’accumulazione di risorse patrimoniali verso l’alto della piramide sembra meno esasperata in Gran Bretagna (14-18%) e, meno sorprendentemente, in Finlandia (13-15%).
Roma più diseguale di Londra
Non sembra il modello economico a fare la differenza per l’intensità delle diseguaglianze (il Portogallo e l’Italia sono più diseguali del Regno Unito). Per capirci di più ho dato un’occhiata ai dati di Treisman sulla persistenza della ricchezza dei miliardari negli anni. Anche qui ci sono alcune sorprese. Negli Stati Uniti poco più di metà (53%) dei miliardari che erano tali fra il 1996 e il 2002, sono rimasti tali negli ultimi anni: il ricambio al vertice è stato lento, malgrado il grande crash di Wall Street e la rivoluzione tecnologica. In Russia una quota simile, il 56%. Per l’Italia non ci sono dati. Ma in Germania invece solo il 27% dei miliardari di quindici anni fa lo sono anche oggi, dunque la “distruzione creatrice” schumpeteriana del capitalismo e la concentrazione di ricchezza al top sono state più intense persino che in America.
La prossima volta che visitate Berlino, cercate una galleria d’arte.