Corriere della Sera, 15 gennaio 2016
L’agonia del colonialismo e le sue conseguenze
C’è da farsi prendere dallo sconforto nel leggere l’ultimo numero di Limes. Dedicato all’Africa e al suo «condizionante» futuro per l’Occidente intero (…ma non solo!), la nota rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo descrive l’attuale disastrosa situazione come conseguenza anche di molte nostre scelte sbagliate (Libia e francesi docent!). Ma, visto il risultato, non si dovrebbe ormai parlare del fallimento del «de-colonialismo»? In poco più di un secolo la popolazione del continente è decuplicata nonostante le innumerevoli malattie e carestie. Il livello di democrazia è tra i più bassi del mondo. Lo sfruttamento delle risorse naturali (che riguarda le stesse
specie animali e non solo i giacimenti di vario genere) è attuato in maniera dissennata.
Che cosa ci ha quindi guadagnato il continente africano nel liberarsi di noi europei?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani,
Esistono anche casi positivi e dati incoraggianti. Secondo proiezioni della Banca mondiale, vi sarebbero almeno sei Paesi dell’Africa a sud del Sahara in cui il prodotto nazionale sta crescendo in questi anni di percentuali che si aggirano fra il 7 e l’8%. Sono il Ruanda, la Tanzania, il Mozambico, la Costa d’Avorio, la Repubblica democratica del Congo, l’Etiopia. Naturalmente queste cifre non sono necessariamente indicative di stabilità politica (la Repubblica democratica del Congo è al centro di un conflitto che si protrae ormai da qualche decennio) e di buona amministrazione del denaro pubblico. Ma dimostrano pur sempre che il reddito prodotto dallo sfruttamento delle risorse naturali permette ormai programmi statali di una certa importanza. Le cose sarebbero andate meglio se questi Paesi fossero ancora colonie europee? La domanda mi sembrerebbe lecita se la decolonizzazione non fosse il risultato di un processo molto più europeo che africano.
Il colonialismo non fu soltanto, secondo la vulgata leninista, una manifestazione dell’imperialismo europeo e americano. Fu anche un movimento ideale dettato dalla convinzione che l’Europa avesse l’obbligo morale di trasmettere ad altri popoli il patrimonio dei suoi valori morali e spirituali. Le Chiese approvarono il colonialismo e lo sostennero perché videro nelle guerre coloniali l’occasione per estendere enormemente l’area del loro apostolato. I movimenti umanitari furono colonialisti perché il dominio dell’Europa avrebbe messo fine alla tratta degli schiavi e ad altre pratiche incivili delle società «primitive». La fiamma cominciò a spegnersi per una combinazione di fattori: due guerre mondiali, la diffusione del marxismo, la brutalità di alcuni regimi coloniali e, più generalmente, una sempre più diffusa autocritica dell’Occidente. In ultima analisi il colonialismo, nelle forme in cui era stato praticato sino alla fine della Seconda guerra mondiale, morì quando fu chiaro che nessuna società occidentale avrebbe fatto i sacrifici di sangue e di denaro necessari per la conservazione delle terre conquistate. Vi furono sacche di resistenza là dove una importante popolazione di origine europea non intendeva rinunciare alla sua seconda patria (Algeria, Rhodesia, Unione Sud-africana) ma quelle isole di resistenza dovettero arrendersi quando fu chiaro che non sarebbero state più sostenute dall’opinione pubblica.