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 2016  gennaio 15 Venerdì calendario

Egon Schiele, una vita breve, intensa e misteriosa

Non è una biografia di Egon Schiele (1890-1918) La bambina in rosso di Antonio Della Rocca (Gilgamesh, pp. 150, € 13), ma una testimonianza sul pittore austriaco, «visto dalle sue donne e dai contemporanei». Punto di partenza: un dipinto del 1916 che rappresenta una bambina (La bambina in rosso, appunto): è la nipotina Gertrude, di tre anni, figlia della sorella Gerti? Mistero. Il ritratto diventa il pretesto per scandagliare l’esistenza dell’artista, che porta dentro di sé il cosiddetto «male di vivere», probabilmente esploso nel 1907, quando Egon e la sorella vanno a Trieste e passano giornate intere chiusi nella stessa stanza d’albergo, fra gli ammiccamenti maliziosi degli inservienti e degli altri ospiti. Gerti posa nuda per il fratello. Qualche anno dopo, un amico di Schiele, il pittore Anton Peschka ha una relazione con Gerti. La donna rimane incinta ed Egon decide di affidare la bambina – cui viene dato lo stesso nome della madre – alla nonna, sino a quando la sorella non si sposerà. Chi è il vero padre? A mistero, mistero.
Antonio Della Rocca (Trieste, 1943) è autore di quattro romanzi, ma la struttura di questo libro si avvicina di più alla raccolta di storie Ho sognato una vita come Franz Kafka. Narrazione e interviste immaginarie ai protagonisti morti, monologhi e giustificazioni. Sullo sfondo, la Vienna dell’impero austro-ungarico durante la Secessione.
Ancora ragazzo, Schiele predilige come modelli ragazze adolescenti. Vuole cogliere lo sbocciare della loro femminilità? Basta elencarle: la sorella Gerti, la diciassettenne Wally Neuzil. Nel 1912, mentre si trova a Neulengbach con Wally, il pittore è arrestato e processato per avere sedotto una modella di 14 anni, Tatiana von Mosig. Viene condannato solo per pornografia, avendo esposto i ritratti della ragazza. Ultima modella, Edith Harms, nel 1914. Quando Schiele chiede di sposarla, lei pone una condizione: essere l’unica musa.
Alla scoppio della Prima guerra mondiale, Egon viene richiamato e trasferito più volte. L’ultima, nel ’18, a Vienna. L’influenza «spagnola» stronca Edith, incinta di sei mesi. Contagiato, tre giorni dopo muore anche l’artista. È il 31 ottobre 1918 ed egli ha solo 28 anni. Per l’epidemia, l’Europa conta oltre venti milioni di morti.
Il nome di Schiele richiama immediatamente l’immagine di corpi attorcigliati, estesi, contorti, spettrali, colti spesso in pose apparentemente oscene, che hanno fatto passare in secondo piano tutta la sua produzione paesaggistica. Eppure alberi singoli, vedute panoramiche di campagne e di città austriache, case semidiroccate non sono da meno dei nudi avendo, fra l’altro, la stessa costruzione compositiva.
Certo all’inizio (Schiele ha appena 16 anni) si vede subito l’influenza di Gustav Klimt: tanto nel seguire l’estetica dell’Art Nouveau, quanto nei preziosi contrappunti grafici, a scacchiera, che il giovane riprende dal vecchio maestro. Ma, poi, Egon imbocca la strada dell’Espressionismo. Dopo il 1910, anno in cui conosce lo scrittore Arthur Roessler, critico d’arte dell’«Arbeiter-Zeitung», che gli apre molte strade (gallerie, editori, salotti, collezionisti), gli echi di Klimt si riducono quasi sino a scomparire.
Schiele se ne va a soli 28 anni: una vita breve ma intensissima. Dipinge 200 olî (qualcuno ne conta circa 350: probabilmente tiene conto dei falsi, passati come buoni con tanto di certificazioni fasulle) e qualche migliaio fra tempere, acquerelli e disegni; scrive prose, poesie e diari. Forse solo il colore riusciva a placare la sua carica emotiva dove angoscia e delirio diventavano tutt’uno.