il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2016
Tremila dollari al mese per un maschio, mille per una femmina. Il Califfo ha bisogno di bambini per sostituire i kamikaze, così paga i genitori
Per Daesh sono una risorsa primaria, decisivi per sostituire i kamikaze morti, strategici da utilizzare come sentinelle. Lo Stato Islamico punta sui bambini. Anche più piccoli di dieci anni. Da addestrare sul campo. Per averli Is è disposto a pagare e non poco. Esiste, infatti, un vero e proprio listino. Per un maschio, i vertici del Califfato arrivano a versare fino a 3.000 dollari al mese al genitore, per le femmine la cifra scende a 1.000.
Una contabilità drammatica e soprattutto inedita che emerge dall’inchiesta della procura di Milano su V., una donna albanese residente a Barzago in provincia di Lecco che nel dicembre 2014 è fuggita in Siria portando con sé il figlio di sette anni da affidare alle “cure” dei miliziani. Per questo, ha ricostruito la Procura, verrà pagata. Ora l’indagine si avvia verso la conclusione con un avviso di chiusura che per la donna, spiega la Procura, prevede l’accusa di terrorismo internazionale. Nessuna ordinanza d’arresto, per ora, come fu invece nel caso di Maria Giulia Fatima Sergio, la ragazza residente a Inzago, che dalla Siria voleva far partire anche i genitori. Il caso lecchese è molto simile, invece, a quello su cui indaga la procura di Venezia e che riguarda il piccolo Ismar Tabud Mesinovic che nel 2013 da Belluno viene portato in Siria dal padre. Il genitore verrà ucciso, mentre del ragazzino, ad oggi, non si sa ancora niente.
La vicenda di Lecco è la prima in Europa a coinvolgere una madre. Fino all’inverno del 2014, la famiglia della donna, marito e tre figli (due femmine e il maschio), vive tranquillamente a Barzago. Il marito è musulmano, ma lo è in modo moderato. La signora albanese, invece, imbocca la strada del jihadismo seguendo la dottrina del Califfato in Rete. Ed è proprio sul Web, ragiona la Procura, che probabilmente s’invaghisce di un combattente. Una notte di dicembre decide di partire. Il caso arriva sul tavolo del dipartimento antiterrorismo coordinato dal dottor Maurizio Romanelli. Partono le intercettazioni che però, rispetto al caso della Sergio, sono indirette. Gli investigatori, infatti, ascoltano i familiari in Italia che commentano i colloqui via Skype con la donna. Anche per questo, l’indagine non riesce a mettere a fuoco “la filiera” e gli “ufficiali di collegamento” che portano la donna e suo figlio in Siria. Gli esperti dell’antiterrorismo, però, riescono a fissare alcune bandierine sulla mappa del viaggio. Con passaporti italiani, infatti, la donna prende un volo per la Turchia. Mistero dove atterra, probabilmente non a Istanbul. Da qui, come già visto in altri casi, entra in Siria con un pullman.
È sostanzialmente lo stesso itinerario che segue il marito. Subito dopo la scomparsa del figlio, e prima di denunciare tutto ai carabinieri, l’uomo parte alla sua ricerca. Arriverà in Turchia. Il suo inseguimento si ferma al confine con la Siria. Qui, infatti, incontra alcuni miliziani di Is che gli intimano di tornare in dietro, pena la morta. Prima di desistere all’uomo viene spiegato che la moglie si trova all’interno dello Stato Islamico, mentre il bambino viene addestrato al jihad. Per questo, sostiene la Procura, la donna è stipendiata con 3.000 dollari al mese. Un vero tesoro per chi vive dentro ai confini di Daesh.