La Stampa, 15 gennaio 2016
Cosa dice la seconda parte del rapporto Wada sul doping nell’atletica
La Russia resta al bando e l’atletica in stallo. La seconda parte del rapporto dell’Agenzia Mondiale antidoping (Wada) ha portato allo scoperto nuove tristezze, tanti dubbi e pochissime risposte. Altre 89 pagine dense di malaffare diffuso però meno dettagliate del previsto. Anche qui, come già successo per la Fifa, si usa la definizione «gestione di famiglia». Ovvero l’Atletica Internazionale (Iaaf) era manovrata da un’associazione a delinquere e circondata da chi, come minimo, si è distratto molto.
Altri Paesi sono nella stessa situazione della Russia?
No, come già dopo la prima parte del rapporto, Dick Pound, a capo della task force, ha ricordato che altre nazioni non sono in linea con gli standard richiesti per i controlli. Tra loro Turchia e Marocco, ma non esistono coperture strutturate e quindi nessun altro rischia squalifica. Sul Kenya, Pound è stato molto evasivo. Risulta che loro non abbiano effettuato controlli interni tra il 2006 e il 2012 e la Wada lascia cadere l’argomento.
Quindi la Russia resta fuori dalle Olimpiadi?
Per ora sì. Non tocca alla Wada riabilitarla. Esiste una commissione che è appena tornata dal primo viaggio a Mosca e ne ha in programma altri. Queste 5 persone, tra cui l’italiana Anna Riccardi, faranno rapporto alla Iaaf che deciderà se riammettere i russi in tempo per Rio.
Il nuovo rapporto peggiora la loro situazione?
Sì, viene citato il presidente Putin che Lamine Diack, ex n° 1 della Iaaf e principale indagato, definisce «buon vecchio amico». Non è l’unico che lo chiama così. Diack e Putin si sarebbero incontrati prima dei Mondiali 2013, l’edizione organizzata da Mosca: Diack voleva essere certo che i 9 russi con valori anomali nel passaporto biologico non sarebbero stati convocati per evitare scandali. La banda dei nove ha saltato i Mondiali e pure qualsiasi indagine ufficiale.
Come reagisce la Russia?
Il ministro dello Sport Mutko sostiene che «qualche giornalista voleva accusare il presidente per doping». Nel rapporto si parla anche di un contratto sospetto tra Russia e Iaaf: i diritti tv dei Mondiali 2013 dovevano costare 6 milioni di dollari, ma il figlio e faccendiere di Diack, Papa Massata, ha portato il prezzo a 25 milioni. Sembra una compensazione anche se la Wada non fornisce teorie e chiede all’attuale Iaaf di «investigare».
I dirigenti dell’atletica di oggi sono coinvolti?
Non direttamente, però il rapporto si chiude con l’avvertimento: «Il doping era dentro il sistema e l’esecutivo, o almeno una parte, non poteva non sapere».
Sebastian Coe, attuale capo della Iaaf, era vicepresidente: l’accusa si rivolge a lui?
Pound lo ritiene «l’uomo giusto per le riforme». Da una parte «non poteva non sapere» dall’altra non è considerato responsabile.
Coe come reagisce?
Era presente alla conferenza stampa di Pound, seduto in ultima fila, con il dossier sulle ginocchia. In settimana ha chiarito alla Cnn che lui era «un ambasciatore dell’atletica più che un dirigente», ora chiama il suo predecessore «antico regime», riconosce che «questo sport deve guadagnare la credibilità persa e sarà un lavoro lungo. La corruzione ha raggiunto livelli aberranti».
Ora che succede?
Sta alla Iaaf, a questo punto non più delegittimata, indagare su ogni dettaglio del rapporto.
La Wada prevede altre puntate sul tema?
No, ma si propone come organo indipendente e in futuro avrà più potere e sarà al comando della catena di controllo.
Sono più affidabili delle singole federazioni?
Per lo meno non sono loro che trattano per i diritti tv e i contratti marketing. Non hanno la cassa quindi hanno meno tentazioni.
Nessun nuovo filone è uscito dal rapporto?
Sì, ma non riguarda il doping. Può essere che Tokyo abbia ottenuto voti veicolati da Diack per l’assegnazione delle Olimpiadi 2020. Secondo la ricostruzione, il Giappone ha garantito sponsorizzazioni alla Iaaf in cambio di questo favore. Tokyo ha battuto Istanbul in finale per 60 voti contro 36.