il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2016
Renzi è come Leonard Zelig, l’uomo-camaleonte ideato da Woody Allen
Niente Fonzie, niente Frank Underwood di House of Cards. Quelli sono fumo negli occhi, astuti diversivi usati da Renzi per distogliere l’attenzione dal suo vero spirito-guida: Leonard Zelig, l’uomo-camaleonte ideato da Woody Allen che, non avendo una personalità propria, assume quella dei suoi vicini proiettandola su di sé anche fisiognomicamente. Incontra un jazzista nero e si trasforma in jazzista nero. S’imbatte in un campione di baseball e lo diventa all’istante. Obeso fra gli obesi, indiano fra gli indiani, rabbino tra i rabbini, Zelig viene studiato dai migliori psichiatri, infatti si fa subito psichiatra e racconta le sue aspre dispute con Freud. Il che non gl’impedisce di tramutarsi in Pio XI. E subito dopo di comparire alle spalle di Hitler che arringa la folla a Monaco. Tenta di sposarsi, ma varie donne dicono di essere sue mogli e pretendono gli alimenti per i figli. Uno di questi è Matteo Renzi, che ha purtroppo ereditato la rara e tuttora incurabile sindrome paterna.
Nel 2006, quando B. e la Lega scassano la seconda parte della Costituzione a colpi di maggioranza per dare più poteri al premier a scapito del Parlamento, Renzi è presidente della Provincia di Firenze. E, fervente discepolo di Giorgio La Pira (ovviamente ignaro di tutto), si schiera tetragono per il No al referendum. E firma l’appello degli amministratori toscani per i Comitati del No: “Un NO a una riforma che stravolge la nostra Costituzione riscrivendo ben 53 articoli… un NO per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile”. Nove anni dopo, asceso a Palazzo Chigi, Renzi assume le sembianze di B., rimpiazza La Pira con Verdini e scassa la Costituzione a colpi di minoranza, riscrivendone ben 45 articoli e, complice l’Italicum, firma un progetto che conferisce al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile. Ora è il capo dei Comitati del Sì e avverte che, se vince il No, si ritira dalla vita politica (rendendo tra l’altro doppiamente conveniente il No). Nel 2007 si tiene a Roma il primo Family Day, organizzato da Ruini e dall’ala sanfedista del Vaticano e del mondo cattolico contro il governo Prodi, che ha osato proporre la timidissima legge sui “Dico” per riconoscere qualche diritto alle unioni civili (neppure un cenno alle adozioni). Renzi, in consiglio provinciale, vota con tutta la Margherita una mozione a favore dei Dico.
Poi però incontra diversi preti, assumendone subito le sembianze. E marcia su Roma contro il suo governo in piazza San Giovanni, in compagnia della moglie Agnese, più Berlusconi (accompagnato – come dice Benigni – da “diverse mogli, fra cui alcune sue”), Casini (due mogli), Mastella (una), Fioroni, Carra, Binetti, Roccella, Pezzotta, Lusi con la cassa e vari leghisti bigami o trigami, però maritati con rito celtico. “Non ritengo quella delle coppie di fatto – tuona Renzelig – la questione prioritaria su cui stare mesi a discutere per poi trovare una faticosa mediazione. Mi sembra un controsenso rispetto alle vere esigenze del Paese. E poi si tratta essenzialmente di una battaglia mediatica intorno alla presunta laicità della politica. Questi provvedimenti toccano la minoranza delle persone”. Dunque i Dico vanno ritirati, perché “quando non si coglie il fatto storico di un milione di persone in piazza si commette un errore gravissimo”.
Sei anni dopo diventa premier per sbloccare “le riforme che non si sono fatte per vent’anni” in un Paese paralizzato “fra berlusconiani e antiberlusconiani” e di un centrosinistra dove, horribile dictu, c’erano dei manigoldi che addirittura “sfilavano in piazza contro il loro governo”. Ma adesso è finita, ora cambia tutto, anzi #cambiaverso. Infatti annuncia subito “una proposta ad hoc del governo per le unioni civili sul modello tedesco” (27-7-2014). Nessuno la vede, ma lui a fine anno la promette “entro marzo” del 2015 (17.12). Poi “in primavera” (10.3.2015). Poi “entro maggio” (17.3). Poi “subito, entro l’estate” (24.5). Non sulla “proposta ad hoc” del governo, mai vista, ma su quella della deputata Cirinnà. La Pravdina renziana, fu Unità, annuncia stentorea: “Renzi ha deciso: subito la legge sulle unioni civili” e narra i festeggiamenti già in corso nella comunità gay: “Ora Claudio e Max potranno comprare casa assieme” (10.7).Due giorni dopo purtroppo La Stampa corregge: “Unioni civili, rinvio a settembre. Prima si farà la riforma della Rai” (La Stampa, 12.7). Ubi maior, Zelig cessat. Ma la Boschi rassicura: “Unioni civili entro l’anno” (22.7), o più precisamente “il 15 ottobre” (5.9), anzi no: “È difficile che passi entro l’anno: c’è la riforma del Senato, poi inizia la discussione sulla legge di Stabilità” (27.9).
In realtà, rivela Repubblica, “Renzi ha notato il crescere delle domande e delle perplessità sulle mosse del governo intorno ai diritti dei gay e ai loro riflessi sulla famiglia tradizionale” fra i “parrocchiani di San Giovanni Gualberto, la chiesa della sua famiglia a Pontassieve” e – udite udite – “la scena si è ripetuta nella chiesa di Arezzo frequentata da Maria Elena Boschi”. Ecco: Renzelig e Marizelig hanno incontrato alcune pie donne sul sagrato delle rispettive parrocchie, trasformandosi subito in esse. Intanto i cattofanatici preparano il terzo Family Day contro le unioni civili, sempre in piazza San Giovanni. E gli fanno la posta sotto Palazzo Chigi: se riescono a incrociarlo anche un istante, Renzelig è capace di unirsi a loro e marciare contro il suo governo.