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 2016  gennaio 15 Venerdì calendario

Cose che succedono negli appartamenti di Teheran

 In un appartamento al quinto piano di un palazzo sulla via Karim Khan una ventina di giovani sono venuti a vedere un corto, Koshtargar (mattatoio), applaudito a Cannes e in programma in questi giorni al festival di Praga. Sembra un documentario ma è fiction, è stato girato tra i ragazzi di Ahwas, nel sud ovest dell’Iran. Il tema è la droga, la povertà, la vita quotidiana in una giornata apparentemente uguale a tutte le altre. Dopo la proiezione il regista, Behzad Azadi, anche lui giovanissimo, racconta al pubblico di aver scelto non attori professionisti ma ragazzi della periferia di Ahwas che conoscevano bene il mondo della droga e della malavita e di essersi limitato a dar loro delle indicazioni di massima lasciandoli improvvisare. Perché fossero più affiatati gli aveva pagato un viaggio, tutti insieme una settimana al Caspio, e ne erano tornati amici.
Il pubblico, tutto di giovani, ascolta attento e fa domande, seduto sulla scalinata costruita dagli organizzatori del centro in una stanza lunga e stretta dell’appartamento. Questa “Casa d’arte e di cultura Afarideh” ha cominciato le sue attività culturali due mesi fa, dice il giovane alla porta. Nel mese di gennaio ogni martedì presentano un corto, poi comincerà la serie dei gruppi di teatro. Afarideh è uno dei tanti teatri underground che sono spuntati in tutta la città nell’ultimo anno o due. Luoghi privati dove si fa musica, teatro, si proiettano film e documentari. Afarideh ha avuto il permesso dell’Ershad, il ministero per la guida islamica, tiene a dire l’organizzatore, ma la gran parte degli altri agiscono underground – sull’esempio dei gruppi rock che furono i primi ad affittare cantine e garage, ridipingerli e arredarli alla meglio per dare concerti. La musica viene infatti spesso vietata in Iran, mentre le performances che si vedono in questi teatrini di solito non hanno nulla di politicamente scorretto. Ma le infinite perdite di tempo per chiedere per ogni cosa un permesso hanno convinto i giovani iraniani a organizzarsi underground, facendosi pubblicità via instagram o telegram. Ormai sono in tanti, perfino attori famosi. Come il comico Mehran Modiri che quando il suo show in tv è stato interrotto ha deciso di continuare a produrlo a sue spese vendendo i dvd sul mercato. Il successo è stato tale che ormai può pagare la troupe più di quanto la pagasse la televisione. È nata quasi una moda. Anche molti scrittori stampano i loro libri in autonomia e li distribuiscono attraverso reti informali. Poemi satirici o erotici, ma anche gialli, romanzi sperimentali, disegni e lito di pittori famosi il cui contenuto è considerato scabroso, un nudo per esempio, si vendono così dappertutto.
Se il sogno dei giovani fino a qualche anno fa era partire, tanti oggi cominciano a cambiare idea. Dopo l’accordo sul nucleare hanno ritrovato la speranza che le cose, lentamente, non possano che migliorare. Mentre allo stesso tempo le notizie che arrivano dai loro amici già emigrati all’estero non sono confortanti. «La nostra generazione era piena di ideali, volevamo restare nella società in cui eravamo per cambiarla. Ma abbiamo fallito», dice Susanne Shariati, una donna dal viso dolce che è la figlia del famoso ideologo della rivoluzione khomeinista. È venuta in una delle diverse librerie di Book City a presentare il romanzo “L’autunno è l’ultima stagione dell’anno”, opera prima di una scrittrice trentaduenne, Nassim Marashi, che racconta la storia di tre ragazze che hanno sogni diversi, nessuno dei quali si realizza.
Anche il presidente Rouhani ha un sogno, scherzano i suoi sostenitori. Potrebbe puntare a diventare lui un giorno il nuovo Leader supremo, per garantire così che il suo corso di moderazione non venga travolto. Khamenei continua a sostenere il presi- dente, ma gli ultraconservatori non hanno rinunciato alle provocazioni per far fallire il suo disegno di apertura al mondo – per esempio con l’assalto all’ambasciata saudita, che ha rischiato di rendere l’Iran ancora una volta la pecora nera della politica internazionale. Quanto forte sia la posizione di Rouhani lo si vedrà alle prossime elezioni. Il 26 febbraio gli iraniani sono chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti, un organo molto importante perché ha il compito di nominare o di revocare il leader supremo e sta in carica otto anni. «Quando non sarò più di questo mondo, l’Assemblea degli Esperti sceglierà il mio successore», ha detto Khamenei ai religiosi di Qom, menzionando per la prima volta la sua successione. Moderati e riformatori sono i favoriti alle elezioni, e hanno speranze di uscire vincenti anche grazie al fatto di presentarsi uniti. La loro alleanza aveva già portato nel 2013 all’elezione di Rouhani e si è consolidata in un patto di ferro tra gli ex presidenti Khatami e Rafsanjani.
Il problema per Khamenei è come mantenere saldo il regime senza far perdere credibilità al processo elettorale come era accaduto invece nel 2009. Tutto dipenderà dai veti del Consiglio dei Guardiani, che in elezioni passate aveva perfino cancellato in blocco tutti i candidati riformatori. Oggi, almeno così sperano gli insider, l’orientamento potrebbe essere diverso. L’orizzonte auspicato sarebbe quello di arrivare alla formazione in Parlamento di due gruppi forti: uno di riformatori e moderati, l’altro di conservatori moderati – due gruppi capaci di formare una “grosse Koalition” sulle questioni di interesse nazionale come è già successo per l’accordo nucleare. Non ci sarà perciò da sorprendersi se Ali Larijani, conservatore moderato che si è molto impegnato per far approvare l’accordo nucleare alla attuale maggioranza conservatrice del Parlamento, rimarrà presidente del Parlamento anche nel prossimo Majlis.
Gli hardliners sono quelli che hanno più da perdere alle elezioni, visti gli orientamenti della popolazione tutti favorevoli all’accordo sul nucleare e all’apertura all’Occidente e pro riformatori. Ma il Consiglio dei Guardiani si adopererà probabilmente per fare entrare una piccola percentuale di hardliners, utile nella visione del regime per creare con i conservatori una maggioranza su tutte quelle questioni sociali e culturali che il regime considera identitarie. Gli ayatollah vedono i media, il cinema e Internet come una specie di cavallo di Troia dell’Occidente per travolgere i principi della rivoluzione e allontanare gli iraniani dall’islam. Inutilmente il presidente ribadisce che è inutile opporsi alla modernità: «Sembra che siamo ostili a ogni nuovo sviluppo, per poi accettarlo vent’anni dopo. In passato ci opponevamo anche ai fax», ha ricordato il suo ministro più liberale, Ali Jannati.
Oggi, diversamente dal 2012, nessuno parla più di boicottare le elezioni parlamentari e per il regime islamico l’affluenza massiccia alle urne significa dare al mondo la prova della propria legittimità.