Libero, 14 gennaio 2016
Quant’è bravo Sylvester Stallone nell’ultimo Rocky
Non è mai troppo tardi. A 70 anni, dopo oltre quaranta di carriera, Sylvester Stallone è diventato un attore degno di rispetto. Domenica scorsa ha vinto il Golden Globe (non protagonista) per Creed. È possibile che tra un mese e mezzo arrivi all’Oscar. Perché i quarant’anni di cui sopra lo «stallone italiano» li ha vissuti tra l’amore del pubblico (mai venuto meno, nonostante gli inevitabili alti e bassi) e il disprezzo della critica (e di chi in genere dà i premi).
Il regista Stallone è stato spesso lodato, l’attore no, mai. La faccia, l’eterna espressione da cane bastonato servivano a veicolare le emozioni, peccato che non mutassero di un tic, di una sfumatura in decine di chilometri di pellicole. Ora il miracolo è avvenuto è l’occasione è il settimo Rocky dove fa ancora il Balboa, però anziano, malato, senza più affetti né amici.
Forse perché emotivamente coinvolto (ha scoperto anche lui che nessuno invecchia bene, nemmeno al cinema) lo Stallone, otto lustri dopo il primo Balboa ha trovato finalmente le sfumature, la sofferenza che marchia il volto, l’angoscia mai provata dal suo personaggio, nemmeno sotto le gragnuole di pugni. L’espressione «irrimediabilmente bovina» come scrissi per il primo film dove lo vidi (Anno 2000, la corsa della morte) è diventata la maschera di un uomo che nella vita ha passato di tutto. E ha visto tutto.