Il Messaggero, 14 gennaio 2016
Settemila morti l’anno per le infezioni ospedaliere
Gli ultimi a dare l’allarme sono stati gli infettivologi un paio di mesi fa. Hanno presentato il loro “Libro bianco”, ne è emerso un quadro niente affatto confortante. Solo le infezioni ospedaliere, infatti, sono la causa di 5000-7000 morti l’anno con un costo di circa 100 milioni. E, proprio della «problematica delle infezioni» hanno scritto gli ispettori del ministero della Salute inviati negli ospedali, Sant’Anna di Torino, Spedali civili di Brescia, quello di Bassano del Grappa e il San Bonifacio nel Veronese. Dove, alla fine dell’anno, sono morte quattro donne che stavano per partorire.
LA TASK FORCE
La relazione della task force (mandata anche al Cardarelli di Napoli dove martedì è morta una ventenne sottoposta ad un’interruzione di gravidanza) punta il dito sulla gestione dell’emergenza. Sulla “criticità” di tre ospedali su quattro: assolto il S.Anna di Torino («non sembra presentare elementi di inappropriatezza relativamente alla gestione della complicanza, repentinamente occorsa, e che ha portato al decesso della signora e della neonata»), per gli altri è il momento di riorganizzare e rivedere il cosiddetto “percorso nascita”. «In particolare, la sepsi in gravidanza – sono le parole dei supervisori – è una patologia ad elevata letalità, per cui sono necessari identificazione precoce e monitoraggio continuo».
Dolorosa coincidenza: i dettagli del dossier degli ispettori si sono conosciuti lo stesso giorno, l’altro ieri, in cui a Napoli è deceduta la ventenne sottoposta ad interruzione di gravidanza per una malformazione al feto. «Hanno ucciso mia figlia, era sanissima e ora hanno distrutto la mia famiglia. Voglio la verità». Il giorno dopo la morte di Gabriella Cipolletta la madre, Emilia, sfoga la sua rabbia per quell’intervento che doveva essere di routine e da cui sua figlia non è più uscita viva. Ieri, ancora una denuncia. All’ospedale di Isernia. Una donna di 61 anni è morta dopo quattro giorni in cui stazionava in un letto del pronto soccorso, in attesa che si liberasse un posto. Maria Cristina Melloni era arrivata in ospedale per problemi gastrointestinali. In reparto però non c’erano posti liberi e così è rimasta al pronto soccorso dove è deceduta. È stata aperta un’inchiesta. Al “Veneziale” di Isernia, il “parcheggio” aspettando un letto, non sembra essere una novità. I tagli ai reparti, costretti dal deficit (il Molise, per la sanità, è Regione commissariata), hanno, di fatto, cambiato l’organizzazione in corsia. Nel caso specifico i medici hanno spiegato di aver chiesto la disponibilità di un posto anche agli altri ospedali della regione ma di aver ricevuto risposte negative.
TREND IN AUMENTO
«Viviamo quello che è successo come una sconfitta, al di là di ciò che emergerà dall’autopsia – spiega il medico del pronto soccorso Lucio Pastore – Siamo in una situazione drammatica, con una drastica riduzione del personale medico. Abbiamo segnalato il profondo disagio. Questa morte è una sconfitta». Un bambino di 6 anni è morto ieri all’ospedale di Rovigo, stroncato da un arresto cardiaco. Era ricoverato da due giorni per un’influenza ed un blocco intestinale. Le condizioni del bambino si erano aggravate ieri mattina: il piccolo è stato trasportato nella recovery room pre-operatoria dove però è morto, nonostante i medici abbiano fatto di tutto per rianimarlo.
Le infezioni ospedaliere, dunque, continuano a rappresentare la più frequente complicanza ospedaliera e il loro trend sembra essere in continuo aumento. In media, il 5% dei pazienti contrae un’infezione durante il periodo di soggiorno in corsia. «La maggior parte delle persone infettate nei giorni di ricovero – spiega Massimo Andreoni ordinario di Infettivologia all’università Tor Vergata di Roma e past president della Società italiana di malattie infettive e tropicali – viene colpita da polmonite. Parliamo di cinquantamila persone ogni anno. A rischio le più fragili, i più anziani, gli immunodepressi. Una situazione che preoccupa anche gli altri paesi europei ma, da noi, è più grave che altrove».