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 2016  gennaio 14 Giovedì calendario

Il gran caos delle trivelle e del petrolio in Italia

Massima è la confusione sotto il cielo, quando si parla di trivelle, ricerche e perforazioni petrolifere off shore. Dal 23 dicembre scorso, infatti, risulta vietato fare nuove perforazioni del fondo marino per estrarre idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa del Belpaese. Lo ha stabilito un emendamento alla Legge di Stabilità inserito dal governo per evitare i referendum «No Triv» presentati da dieci Regioni. Tuttavia, le concessioni per le trivellazioni già date a suo tempo non scadono: restano “congelate”, e potrebbero tornar buone in un futuro imprecisato. Contemporaneamente, è appena stato concesso un nuovo permesso di ricerca al largo delle isole Tremiti. Con una conseguenza paradossale: la società Petroceltic Italia potrà cercare di capire se sotto il mare c’è un giacimento di gas o altri idrocarburi. Ma se lo trovasse vicino alle coste, non potrebbe estrarlo.
La protesta alle Tremiti
Nel frattempo è esplosa la protesta degli abitanti delle Tremiti, che temono ripercussioni per il turismo. Due sono le obiezioni degli isolani. La prima riguarda il futuro più lontano: un arcipelago come le Tremiti deve puntare su turismo e ambiente, oppure sugli idrocarburi, con tutti i rischi del caso? La seconda riguarda i possibili danni per il fondo marino legati all’uso della cosiddetta «air gun», una tecnica di ispezione del sottosuolo basata su esplosioni mirate di aria compressa. Secondo la maggior parte degli scienziati è assolutamente innocua, altri temono conseguenze per fondali e fauna. Critiche sono anche le organizzazioni ambientaliste, contrarie alle trivellazioni in mari «angusti» come l’Adriatico e il Canale di Sicilia, visti i potenziali rischi di incidente e inquinamento, come si è visto nel Mare del Nord o nel Golfo del Messico. E poi, dice Rossella Muroni presidente di Legambiente, «visti gli impegni presi alla Cop 21 di Parigi non si può predicare bene a livello internazionale e poi in Italia fare il contrario», visto anche che i giacimenti possibili di idrocarburi nei nostri mari sembrano molto piccoli, a detta degli esperti.
A complicare la situazione ci si è messo il braccio di ferro istituzionale tra il governo e il presidente della Puglia Michele Emiliano, uno dei presentatori dei quesiti referendari, che chiede al governo di ritirare il permesso di ricerca alle Tremiti. E – ciliegina sulla torta – martedì 19 la Corte Costituzionale potrebbe stabilire che uno dei sei referendum «No Triv» potrebbe essere comunque mantenuto. Proprio quello che riguarda le trivelle entro 12 miglia dalla costa.
Governo ondivago
Una grande confusione che nasce, fanno notare gli addetti ai lavori, dalla linea poco chiara fin qui tenuta complessivamente dal governo Renzi. Da una parte c’è un ministero – quello dello Sviluppo Economico – che spinge sul pedale dell’estrazione di petrolio in Italia, con la finalità di ridurre (anche di poco) la dipendenza energetica. E sostanzialmente mantiene la strategia energetica decisa nel 2012 dal governo Monti, considerata universalmente molto «fossile». Dall’altra c’è il ministero dell’Ambiente, che a nome del Paese ha siglato l’accordo sul clima di Parigi. E soprattutto, dicono al ministero guidato da Gian Luca Galletti, è un ministero che a ben vedere è stato molto poco generoso con chi vuole trivellare. A leggere i numeri di un rapporto riservato del ministero dell’Ambiente, sulle 20 autorizzazioni Via di impatto ambientale concesse dal varo nel 1994 della legge che regola la materia delle «coltivazioni off shore», soltanto una è stata data dal governo e dal ministro in carica. Sei risalgono al primo governo Prodi (ministro Ronchi); tre al Berlusconi 1 (Matteoli); cinque al Berlusconi 2 (Prestigiacomo), e due a Monti (Clini). L’unica autorizzazione firmata da Galletti riguarda il progetto «Ombrina Mare», a 3,6 miglia dalla costa abruzzese-molisana. Attualmente (forse) sospeso. I punti interrogativi sono d’obbligo.