la Repubblica, 14 gennaio 2016
Finché è una ragazza pakistana a venire giustiziata chissenefrega. Poi accadono fatti come quelli di Colonia...
Se si stenta a credere che i fatti di Colonia avessero un’intenzione “politica” (ovvero che quelle molestie fossero in qualche modo organizzate, e mirate a umiliare le donne europee e la loro scandalosa libertà), è perché si stenta a credere che il corpo delle donne sia il vero campo di battaglia della guerra in corso. Eppure è una guerra che ha già avuto le sue stragi (per esempio le ragazze algerine sgozzate perché portavano i jeans) e le sue deportazioni (le donne yazide vendute come schiave dai negrieri dello Stato Islamico). Ma qui in Occidente fatichiamo molto a vedere e valutare per quello che sono quei crimini contro esseri umani perché non ci tangono. O meglio, finché non ci tangono. È accaduto per il terrorismo jihadista, ben più attivo e mortale in Medio Oriente e in Africa che in Europa, ma da quando ha colpito le nostre capitali finalmente nominato e odiato anche da noi. Minaccia di accadere anche per l’attacco mondiale scatenato dal radicalismo islamista contro la libertà delle donne. Finché è una ragazza pakistana a venire “giustiziata” perché sta andando a scuola o una attivista saudita a venire uccisa perché non si piega alla legge patriarcale possiamo fare finta che il problema non sia nostro. Noi siamo la prova vivente che la globalizzazione, tanto temuta, in realtà è ancora molto lontana.