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 2016  gennaio 14 Giovedì calendario

L’inflazione vicino allo zero piace ai tedeschi

Se Jens Weidmann è da prendere sul serio, oggi al Consiglio direttivo della Banca centrale europea proporrà un taglio dei tassi d’interesse e una nuova dose massiccia di interventi monetari. Il presidente della Bundesbank potrebbe anche chiedere altre misure per riattivare il credito, indebolire il tasso di cambio e qualunque altra iniziativa utile a risollevare l’indice dei prezzi nell’area euro.
Naturalmente, accadrà solo se Jens Weidmann è da prendere sul serio. In particolare se lo è quando ricorda (spesso) che il successo dell’euro dipende dal rispetto degli accordi. Uno di questi riguarda l’inflazione, poiché da anni la Bce si è data (all’unanimità) un «obiettivo»: cercare di arrivare nell’area euro a un ritmo annuale di aumento dei prezzi nel medio periodo «vicino ma inferiore al 2%». È il patto più disatteso in questi anni, ben più di quello sulla stabilità dei conti pubblici, tanto da mettere in pericolo persino quest’ultimo con le distorsioni sta provocando.
Mario Draghi, il presidente della Bce, è da tempo molto attivo per portare la Bce a centrare il suo obiettivo e per ora è riuscito ad evitare che si allontanasse ancora di più. Se Draghi non avesse lanciato il primo piano di acquisti di titoli da 1.140 miliardi di euro marzo scorso, superando le obiezioni della Bundesbank, probabilmente l’area euro avrebbe chiuso il 2015 in deflazione; quest’ultima è un’erosione prolungata dei prezzi che paralizza consumi e investimenti perché, in una spirale al ribasso, famiglie e imprese rinviano sempre di più le spese aspettando che i listini scendano ancora. Anche se sempre vicina allo zero, l’inflazione è tornata positiva dopo che Draghi varò gli interventi dieci mesi fa.
Quindi il presidente della Bce ha cercato di rafforzare il pacchetto il 4 dicembre scorso, sempre contrastato dalla Bundesbank, perché era chiaro l’inflazione sarebbe rimasta lontana dal 2%. A novembre nove Paesi del club su 19 avevano listini dei prezzi in caduta rispetto all’anno prima. Spinto da Draghi, con riluttanza, in dicembre il consiglio direttivo della Bce ha tagliato ancora un po’ i tassi sui depositi (ora le banche pagano lo 0,3% l’anno per parcheggiare i propri fondi a Francoforte, invece di prestarli) e ha fatto sapere che gli acquisti di titoli continueranno almeno fino a primavera dell’anno prossimo.
Si poteva sostenere, a quel punto, che questo sarebbe bastato a riportare l’inflazione verso livelli più sani. Le stime di inizio dicembre dello staff Bce prevedono un aumento medio dei prezzi nell’area dell’1% nel 2016 e 1,6% l’anno prossimo, e citano alcuni fattori: «gli aumenti ipotizzati dei prezzi del petrolio» e «il sostanziale declino del tasso di cambio dell’euro» (che rende meno caro e più competitivo l’export ma più costosi i beni d’importazione).
Se queste sono le ragioni, sono già venute meno. Dall’inizio di dicembre il prezzo petrolio è crollato ancora di un altro 28%; e anche a causa dei tremori sul mercato in Cina, il tasso di cambio dell’euro sulle principali monete si è rafforzato in media del 3,3%. L’Europa ha ripreso a importare deflazione dal resto del mondo. Non è un caso se le aspettative di mercato sui prezzi a lungo termine oggi sono ancora più basse che in novembre e dicembre. Ormai gli analisti privati hanno stime d’inflazione molto inferiori a quelle della Bce: in media per il 2016 vedono prezzi a zero per l’Italia, negativi per la Germania, mentre Barclays stima appena +0,1% per l’area euro.
Fanno così tre anni e mezzo che l’«obiettivo» d’inflazione della Bce resta lontano, e ciò rende i debiti pubblici e privati più difficili da ridurre: i debitori hanno meno ricavi in euro del previsto per far fronte agli interessi e ai rimborsi, e una deviazione così prolungata dei prezzi finisce per cambiare radicalmente in peggio qualunque traiettoria di risanamento.
Facile prevedere dunque che nella Bce si tornerà a parlare di reagire per contrastare un avvitamento. Ma Weidmann e i suoi alleati olandesi si oppongono: di fatto per loro l’obiettivo è cambiato e – dicono informalmente – l’inflazione «vicino a zero» va bene. Perché le regole sono regole, eccetto quando non piacciano alla Bundesbank.