Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2016
Il Venezuela verso il default, se non interviene la Cina
L’allarme rosso del Venezuela non è più vincolato alle scelte politiche della Rivoluzione bolivariana, ormai sempre più frammentata, ma dalle quotazioni del prezzo del petrolio. I 30 dollari al barile costituiscono una soglia allarmante; gli introiti in valuta estera di Caracas arrivano quasi esclusivamente dal export di greggio.
Il destino del Venezuela, nel 2016, pare segnato: default o salvataggio da parte della Cina.
I conti pubblici del 2015 sono quanto mai critici: il Pil si è contratto del 10% e l’inflazione ha superato il 100% con un’impennata negli ultimi sei mesi, quando i prezzi sono saliti del 250% rispetto al periodo precedente.
Dati allarmanti che rimandano ad altre esperienze latinoamericane, quelle di Bolivia, Argentina e Brasile che negli anni Ottanta sono scivolate nell’iperinflazione proprio pochi mesi dopo aver toccato quota 200% di inflazione.
L’iperinflazione – sempre guardando alle esperienze passate – si è poi tradotta in una ulteriore caduta del Pil. Gli altri fondamentali macroeconomici sono altrettanto negativi: il deficit pubblico si attesta attorno al 20% del Pil, un valore destinato ad aumentare con il petrolio a 30 dollari. Il deficit è stato finora finanziato stampando moneta, e ciò secondo la totalità degli analisti finanziari non può che accelerare ulteriormente l’inflazione. Instabilità politica, insicurezza giuridica e scarsità di alimenti nei supermercati sono gli elementi di criticità.
“Default” dunque è lo scenario più probabile anche perché le riserve della Banca centrale di Caracas continuano ad assottigliarsi: da 14miliardi di dollari a 7miliardi di dollari. A meno che la Cina non getti un salvagente. «Meglio un Piano Marshall», suggerisce qualche economista venezuelano.