il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2016
Arrestato l’avvocato che vendeva box per comprare il tritolo da mettere sotto la macchina di Di Matteo, pm della trattativa Stato-mafia
«Tutti questi signori attingono da questa minna (mammella ndr), sia come denaro, sia come credibilità». Parola di Marcello Marcatajo, avvocato civilista della Palermo bene, arrestato ieri mattina nella sua villa di Mondello dagli uomini della Guardia di Finanza: è accusato di riciclaggio aggravato dal favoreggiamento alla mafia.
È l’ultimo colletto bianco al servizio di Cosa nostra, l’insospettabile avvocato che cura la vendita di 30 box auto al prezzo di 500 mila euro. Metà di quella somma sarebbe poi servita per acquistare il tritolo che doveva uccidere il pm Nino Di Matteo. «Parte del denaro proveniente da quella operazione, 250 mila euro circa, l’abbiamo utilizzata per acquistare l’esplosivo che doveva servire all’attentato per il giudice Di Matteo», ha svelato nei mesi scorsi il pentito Vito Galatolo, rampollo dell’Acquasanta, una delle più importanti famiglie di Cosa nostra.
L’ordine di assassinare il pm della trattativa Stato-mafia era contenuto, secondo lo stesso Galatolo, in una lettera che proveniva da Matteo Messina Denaro. Poi, dopo le rivelazioni del pentito, gli investigatori ordinano di setacciare l’intero hinterland cittadino alla ricerca dell’esplosivo, senza però mai ritrovarlo. «Questi per ora (riferito ai pm, ndr) hanno altre cose da spiare, e figurati: tritolo, cazzi, mazzi», commenta in quei giorni Marcatajo, non immaginando che il suo studio nella centralissima via Enrico Albanese fosse già pieno di cimici. Ed è per questo motivo che è lui stesso a regalare agli inquirenti una serie di confessioni autobiografiche. A volte innocue, come quando si vanta di essere stato supplente di Piersanti Mattarella all’Università di Palermo negli anni 70. Altre meno, dato che le microspie registrano le sue rivendicazioni sui legami con i clan. «Io dal 2003 faccio atti anche importanti di compravendita con Francesco: c’è tutto un rapporto». Il riferimento è a Francesco Graziano, figlio di Vincenzo, il reggente del mandamento di Resuttana che, secondo lo stesso Galatolo, custodiva l’esplosivo acquistato per uccidere Di Matteo.
È dai pizzini sequestrati in casa di Graziano junior, invece, che comincia l’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi, Francesco Del Bene e Amelia Luise. «Vai dall’avvocato e digli: mio marito vuole i soldi», ordinava Graziano dal carcere, durante i colloqui con la moglie Maria Virginia Inserillo. Anche la donna è finita ai domiciliari insieme a Giorgio Marcatajo, figlio del legale coinvolto nei traffici del padre, e a Giuseppe e Ignazio Messeri, due presunti prestanome. «Lui se la fa, tra la Toscana, Roma, Bahrein e la Romania, sta organizzando centomila cose», è un altra delle frasi che si lascia sfuggire l’avvocato arrestato: per gli inquirenti è una traccia che colloca all’estero il vero tesoro dei clan.
Otto gli arrestati. Manette anche per un altro professionista, l’ingegnere Francesco Cuccio, accusato di avere un ruolo nella vendita di alcune villette a Mondello, per conto dei boss. Per uno di quegli immobili c’era già un accordo preliminare di vendita firmato da Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana e deputato regionale del Nuovo Centrodestra, che non è coinvolto nell’inchiesta e promette di costituirsi «parte civile nel processo contro Marcatajo».
Business a parte, la voce di Cuccio viene captata più volte dalle cimici piazzate dalle fiamme gialle: e spesso tradisce paura. «Io non voglio incontrarmi con nessuno perché non voglio andare a finire in galera. Mi è stato detto da tutti: non ti fare vedere», diceva l’ingegnere, nei giorni in cui le rivelazioni di Galatolo finivano sui giornali. E proprio per questo motivo consigliava all’amico Marcatajo di fare la stessa cosa: «Stai attento che ti inculano Marcello: ma tu la stai seguendo quello che sta succedendo? Di cosa è indiziato lui? Di strage».