la Repubblica, 13 gennaio 2016
Tutti vogliono i direttori d’orchestra italiani. Da Muti a Noseda, passando per Luisotti e Rustioni. Gli eroi del podio
Ma è proprio vero che oggi negli Stati Uniti la direzione d’orchestra parla in italiano? E che il made in Italy domina il panorama mondiale dei campioni del podio? Ebbene sì. A dispetto delle nostre crisi, del progressivo languire di orchestre nate nella terra di Rossini, Verdi e Puccini, della scarsa o nulla educazione musicale nelle scuole, del sistema poco funzionale dei Conservatori. Basta guardare le dirigenze delle grandi compagini americane per notarlo.
Pochi giorni fa il 51enne milanese Gianandrea Noseda, guida musicale del Teatro Regio di Torino, ha conquistato il medesimo incarico alla National Symphony Orchestra di Washington, con sede nel Kennedy Center, «straordinario centro di Performing Arts munito di sei palcoscenici», segnala fiero lo stesso Noseda, il quale sta dirigendo l’opera di Bizet I pescatori di perle al Metropolitan di New York. Se si aggiunge che da tempo il nostro glorioso Riccardo Muti tiene le redini della splendida Chicago Symphony, che c’è Nicola Luisotti a capo dell’importante San Francisco Opera e che Fabio Luisi, insieme al ruolo di General musical director al teatro di Zurigo (una delle eccellenze europee), ha quello di Principal conductor al Met di New York (dove il direttore musicale resta ufficialmente James Levine, che è molto malato e dirige ormai in sedia a rotelle), diventa chiaro come l’Italia, musicalmente, sorrida ai vertici del pianeta nord-americano. Intanto al governo della Philadelphia Opera, teatro di rango assai minore (ma pur sempre geograficamente ben piazzato), lavora Corrado Rovaris. In più sono numerosi i “guest” italiani che campeggiano nel programma del Met: durante la stagione in corso ne figurano nove, sottolinea The Economist in un servizio dedicato alla stupefacente affermazione oltreconfine compiuta dai nostri eroi del podio. Nell’articolo viene citato anche il 32enne Daniele Rustioni, eletto alla guida musicale dell’Opéra National de Lyon, in Francia.
Esiste uno stile vincente italiano? «Non si può più parlare di stili nazionali», replica Noseda, che ha coltivato gran parte della sua formazione a San Pietroburgo con Valery Gergiev. Ha anche lavorato molto sia in Inghilterra sia in Israele (è Principal guestconductor della Israel Philharmonic) e in tal senso rappresenta un prodotto tipico dell’imperiosa internazionalizzazione della cultura musicale. «Siamo l’esito di storie artistiche sempre più eterogenee. Resta il fatto che i musicisti italiani sono particolarmente bravi e che oggi le orchestre in Italia hanno acquisito tanta più consapevolezza». Se per un verso, osserva, «si sono perdute le connotazioni territoriali perché i musicisti viaggiano, lo scambio è all’ordine del giorno e molti asiatici entrano nei complessi occidentali», d’altro canto, secondo Noseda, emerge «una maggiore competitività delle orchestre. Lo dimostra il consenso ottenuto col Regio di Torino alla Carnegie Hall di New York eseguendo il Guglielmo Tell di Rossini in forma di concerto. È stata una tra le dieci migliori performance dal vivo del 2014 nel giudizio di varie testate Usa, fra cui il New York Times». Noseda, che dirige regolarmente negli Stati Uniti dal ’98 e che nel 2015 è stato scelto da Musical America come “Conductor of the Year”, s’insedierà a Washington dal 2017 al 2021, con dodici settimane di presenza a stagione. A suo parere «ogni direttore sviluppa una tecnica personale. Ma se lavorano in giro per il mondo tanti bravi maestri italiani significa che il Paese sforna talenti, il che non accade solo a livello musicale. Negli Usa i medici e in generale gli scienziati italiani sono richiestissimi grazie alla loro preparazione».
Ammette anche il decano e sovrano Riccardo Muti che «ormai i direttori italiani spuntano ovunque come funghi dopo la pioggia» (lo ha dichiarato in un’intervista rilasciata in America), mentre concorda con Noseda il maestro Fabio Luisi, ora impegnato al Met nelle prove di una nuova Manon Lescaut: «La formazione italiana è ottima e nei Conservatori ci sono insegnanti seri e dotati. Per questo i direttori italiani stanno spopolando, come pure gli strumentisti. Ma in Italia manca uno sbocco nella professione, il che porta i direttori a specializzarsi all’estero. Luisotti ha lavorato molto in Germania, Rustioni dopo il Conservatorio è andato a Londra e io, preso il diploma a Genova, ho studiato direzione in Austria. Il tragico problema, in Italia, è il non riuscire a iniziare una carriera». Luisi lascerà il Met a fine marzo, e “in controtendenza” (è lui a dirlo) prenderà la direzione musicale del Maggio Fiorentino dal 2018: «Perché bisogna dare appoggio e speranza anche ai nostri teatri».