Corriere della Sera, 13 gennaio 2016
«Sparerò fino a 45 anni». Parola di Jessica Rossi, lady 99 su 100
È la ragazza del 99 su 100, l’imperfezione che ha fatto risaltare il capolavoro. A Londra al mondo è apparso un mostro di precocità, un fucile per miglior amico dei suoi vent’anni, l’oro olimpico al collo, un record destinato a restare nella storia e frasi così: «Cosa posso fare ora? Non mi resta che ripartire da 100». Jessica Rossi è ripartita: non da 100 perché i nuovi regolamenti rendono impossibile ripetersi («Il tiro a volo è stato completamente snaturato»), con un percorso a ostacoli che racconta mentre il suo doberman, Olimpia, cerca di intervenire nella conversazione («I doberman sono i migliori cani al mondo, aggressivi? Nooo, molto protettivi, darebbero la vita per il loro padrone»). Quando in genere gli altri mollano, dopo i Giochi, lei ha rivinto tutto; poi, inaudito!, ha cominciato a perdere. Ora è in forma, anche se ancora non sicura di andare a Rio. Sceglierà il c.t. Albano Pera, perché i posti non sono individuali, spettano alle Nazioni. E nonostante sia al centro di varie lotte altrui (quella tra il gruppo militare della Finanza che spinge per Silvana Stanco e la Polizia che sostiene lei, oppure, più delicata, quella tra il c.t. e il suo motivatore, definito «venditore di tappeti») Jessica è un monumento alla serenità.
D’altronde se una non sa mantenere la calma non può c’entrare 99 piattelli su 100. Torniamo a quei momenti?
«Sono attimi che ti rimangono dentro. Non ero abituata a gareggiare con il pubblico, mi terrorizzava, poi invece ha cominciato a gasarmi. Quando è arrivato l’errore, mi sono fatta un mezzo sorriso: lo stavo aspettando. Era normale che arrivasse. C’è stato un attimo di silenzio assoluto, poi un boato di disperazione e infine l’applauso. Ho capito che il mondo era con me».
E non ha più sbagliato.
«Il piattello successivo è stato il più difficile di tutta l’Olimpiade. In un attimo il pubblico che mi faceva paurissima, è diventato una cosa che mi faceva divertire. Non fosse successo, poteva finire in un disastro».
Quel giorno i suoi genitori rientravano a casa, danneggiata dal terremoto dell’Emilia.
«Loro avrebbero festeggiato comunque! Quel giorno avevano riunito 79-80 persone, io non sapevo nulla».
Com’è cambiata la sua vita?
«Sono cambiati gli impegni, non io. Non l’ho consentito».
Affrontiamo il tema della sua crisi?
«Intanto l’annata dopo l’Olimpiade ho vinto i Giochi del Mediterraneo, gli Europei e i Mondiali, più due podi in Coppa del mondo. Nel 2014 ho faticato un po’: è normale, solo che in genere la flessione capita nell’anno post olimpico, mentre a me è successo dopo. Mi sono accorta che non avevo avuto un momento di riposo, avevo bisogno di staccare».
Insomma, ha imparato a perdere.
«Adesso parlo così perché ho capito, sono riuscita a tranquillizzarmi, ma in quei momenti non è stato semplice, ti fai delle domande. La ripresa è arrivata però: nel 2015 ho vinto un bronzo agli Europei, anche se non ho ottenuto la carta olimpica».
Può lady 99 su 100 stare a casa da Rio?
«Non voglio andare perché sono la campionessa in carica. Io ho già rivinto dopo e, nel quadriennio, sono ancora quella che ha fatto più risultati. Comunque sono serena, la mia Olimpiade l’ho già fatta e l’ho già vinta. E poi il nostro è uno sport longevo, si può sparare fino a 45 anni. Cercherò di fare di tutto per andarci, ma visto che non dipende da me diciamo che ho una responsabilità in meno. Se vado è per portare a casa una medaglia».
Si sente in rivalità con la Stanco?
«Assolutamente no. Lei ha conquistato la carta olimpica per l’Italia, ma i pass non sono nominativi. Non voglio creare competizioni».
Il matrimonio le ha dato serenità?
«Sì, è stato un passo naturale, con Mauro convivevo da due mesi prima dell’Olimpiade. Fa parte della crescita di una ragazza di 23 anni, anzi scusi 24, li ho compiuti l’altro giorno».
Come ha festeggiato?
«Roba tranquilla, come al mio solito, non amo fare tardi».
Quante ore spara al giorno?
«Da ottobre a marzo non ci sono gare, sparo tre volte a settimana. A novembre mi fermo, lavoro in palestra. In un anno sparo 25 mila cartucce».
L’aspetto mentale è decisivo.
«Sì, anche l’esperienza. Nel momento in cui vedi il piattello sai già se lo romperai o no, ancora prima di sparare. Ma quando credi di aver imparato crolla tutto».
Non c’è il rischio noia?
«No, intanto è uno sport all’aria aperta, in mezzo alla natura. Poi il movimento del piattello è sempre diverso».
Nel futuro ci sono dei figli?
«Certo, faccio l’atleta, ma non voglio privarmi di nulla. I miei riferimenti sono la Vezzali, la Idem e Chiara Cainero, tiratrice dello skeet: ha partecipato agli Europei al quinto mese di gravidanza».