la Repubblica, 13 gennaio 2016
La storia di Irina Nestor, la voce che liberò i rumeni. Ha doppiato circa tremila film americani
Era la voce di Julia Roberts (ma anche di Richard Gere) in Pretty woman. Quella di Sylvester Stallone in Rambo (qualsiasi numero avesse) e Bruce Willis in Die Hard. In Ultimo tango a Parigi si faceva avanti come Marlon Brando e si concedeva come Maria Schneider. Ma soprattutto, più di ogni altro, lei era Chuck Norris, il super eroe in carne e ossa, quello che faceva sognare il suo popolo, colui che sarebbe venuto a liberarlo dal dittatore e avrebbe proclamato una nuova epoca. Con la voce di lei, ovviamente. Perché non c’era idolo o fantasia che non parlasse come Irina Nestor.
Oggi ha 58 anni, la voce al telefono da Bucarest è la stessa che ha doppiato (unica in scena) circa tremila film americani negli Anni Ottanta portando milioni di rumeni dove non potevano arrivare, mostrando loro quel che non osavano immaginare. Era la voce delle favole, una mamma collettiva, Radio Londra che sposa Walt Disney e ti culla ogni sera. Un personaggio da romanzo. O, meglio, come lei preferirebbe, da film. Come questo Chuck Norris contro il comunismo, una docufiction del 2015, della regista Ilinca Calugareanu. Verrà mostrato per la prima volta in Italia il 23 gennaio, nel corso del Trieste Film Festival sulla cinematografia dell’Europa centro-orientale e dedicato quest’anno al regista polacco Krisztof Kieslowsky nel ventennale della scomparsa.
La storia di Irina Nestor è un gioco di spie, il frutto di una passione, la cronaca di una collettiva fuga da fermo. Protagonisti: una donna senza volto, la Romania di Ceausescu, il cinema (quello vero, cioè tutto, senza distinzioni). Sono gli anni cupi e terminali del grande dittatore. Nel suo Paese la tv, canale unico, trasmette due ore al giorno: per lo più, notiziari trionfalistici. Le sale sono poche e danno polpettoni sovietici. Anche quelli, censurati: niente tavole imbandite, via dal cartone animato il coniglietto con i tre palloncini rosso, blu e giallo (i colori della bandiera romena, quasi fosse in mano a Mosca). Il popolo non sogna perché non sa che cosa sognare e il desiderio senza oggetto è quello che più rode. Irina viene assunta alla tv di Stato e proprio lì, inaspettatamente, riceve la proposta. Un funzionario, che la sa poliglotta, le dice che un tizio cerca qualcuno per doppiare film americani. È proibito, potrebbe essere un tranello, ma per lei è soltanto la possibilità di vederli, quei film. Accada quel che deve, va all’appuntamento, in una villa fuori città. L’aspetta l’enigmatico signor Zamfir. Negli anni lo vedrà spacciarsi per colonnello e corrompere veri colonnelli, assumere spie e fare la spia. È solo un uomo d’affari che vuole fare affari. E i film lo sono. Li importa in auto, dando mazzette ai doganieri. Ne ha centinaia. Vuole dare in affitto i videoregistratori (che costano l’impossibile) e vendere le cassette. Irina deve doppiare i contenuti. Non le interessano i soldi, le interessano i film. Non tratta, accende e si mette le cuffie. Doppia il primo, il secondo, il sesto. Arriverà a farne dieci per notte. «E non traduceva soltanto, recitava», ricorda chi l’ascoltò. Diventò familiare: «la seconda voce rumena dopo Ceausescu». Una fantasia nella fantasia: l’immaginavano bionda, sinuosa. E bionda era, ma soave, con occhiali dalle grandi lenti. Un’amante, ma del cinema. Sorsero “cineforum” spontanei, nelle case e nelle campagne. Panche in tinello per trenta spettatori. Teleschermi sui davanzali, sedie nell’aia e coperte sui fili per non far vedere ai vicini non paganti. Riunioni segrete che poco avevano di segreto. Racconta Irina: «Il funzionario della polizia politica che lavorava nella tv mi disse in ascensore: ieri sera ho sentito la tua voce. Poi uscì. Si arrabbiò solo quando doppiai Gesù di Nazareth. E per giunta dissi Dio invece di quello lassù. Ma tutti sapevano. I capi erano corrotti da Zamfir, in videocassette. Il figlio di Caeusescu stesso si fece mandare dei film. E pure il tiranno in persona deve aver visto qualcosa, so che amava i western e il grande Gatsby. Sapeva di questi traffici, ma non immaginava quanto fossero diffusi».
Tremila film, ognuno riprodotto decine di volte, fino a versioni offuscate e mal registrate, in cui però restava riconoscibile la voce di lei, Irina, la voce di tutti. Quando Zamfir, per far fronte alle necessità, ingaggiò un secondo doppiatore dilagò un’accusa: «Queste videocassette non sono autentiche, sono un falso!». Ridicola, a pensarci. Giustificata, a pensarci meglio. Irina era il timbro e il passaporto, l’unico modo conosciuto e certificato per uscire dal Paese, scoprire l’opulenza dei drugstore, la lucentezza delle Mustang Ford e la fatica in nome della speranza. Decine di ragazzi si trovarono a correre per le strade di Bucarest all’alba come Rocky a Filadelfia.
«E molti sognarono che Chuck Norris sarebbe venuto a liberarli. Ancora poche settimane fa, nei cortei dopo il rogo della discoteca, si sono visti cartelli che inneggiavano a lui, lo volevano presidente. Io ho dato la voce a Chuck Norris e anche al presidente. Era un curioso film, I mulini a vento degli dei, una miniserie televisiva in cui una studiosa americana viene in Romania. C’era un presidente che si chiamava Ionescu ma era di fatto Ceausescu. L’attore era Franco Nero. E io gli parlavo sopra. Mi domando se lui, il presidente vero, abbia visto quel film».
Forse sì. Vedevano tutto, sapevano tutto. Accadeva il consentito e pure quello serviva a controllare meglio: fra trenta spettatori in una stanza c’era sempre più di una spia. Ma tutti, controllati e controllori, guardavano i film, con gli stessi occhi sgranati. Irina ammette che. «Sembrava tutto più bello perché era proibito e questo gli dava un sapore diverso, più forte».
E adesso? «Adesso si può vedere tutto e io vedo tutto, come allora, senza differenza, con lo stesso appetito: appena l’avrò salutata mi guarderò Creed con Stallone, anche se poi non è venuto lui a liberarci».