Corriere della Sera, 13 gennaio 2016
L’Unione europea divisa a metà
Trovo difficile capire come due Paesi, Polonia e Ungheria che quando erano satelliti dell’Urss anelavano alla democrazia, oggi sembrino così smemorati al punto di portare il loro euroscetticismo a ridosso di un pericoloso nazionalismo che snatura alcuni fondamentali diritti allora invidiati a quella da essi chiamata «Europa libera». Come si può spiegare tutto ciò?
Giorgio Tescari
Caro Tescari,
Quando l’Unione Europea, fra il 2004 e il 2007, festeggiò l’adesione di 10 Paesi (Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia), molti non capirono che fra le democrazie occidentali e le nuove democrazie dell’Europea centro-orientale esistevano profonde differenze. Il nucleo originale della Comunità era composto da Paesi che sapevano di quali orrori e tragedie i loro nazionalismi fossero stati responsabili nella prima metà del Novecento. La riconciliazione tra Francia e Germania, in particolare, fu promossa e realizzata da entrambe le parti con politiche esemplari e generose. Conoscevamo i nostri errori, eravamo decisi a non ripeterli e sapevamo che soltanto l’unità dell’Europa avrebbe garantito la pace.
Quando si affacciarono sulle porte dell’Unione, i Paesi del blocco sovietico, invece, avevano fatto esperienze alquanto diverse. Anche quelli che avevano avuto una parte di responsabilità negli avvenimenti che precedettero lo scoppio della Seconda guerra mondiale (come la Polonia) si consideravano vittime. Mentre i «sei» avevano fatto un processo al nazionalismo, i Paesi dell’Est attribuivano al sentimento nazionale il merito di averli aiutati a sopravvivere. Nel caso dell’Ungheria e della Polonia, in particolare, quel sentimento nazionale non aveva mai smesso di coltivare risentimenti e sognare riscatti per alcune vicende del passato. Quando nel 2004 andai a Budapest per il Corriere, insieme a Mara Gergolet, per una serie di articoli sull’allargamento dell’Ue, compresi che in molti ambienti esisteva ancora la sindrome del Trianon, dal nome del trattato firmato a Versailles nel giugno 1920 con cui il regno di Ungheria veniva privato di una grande parte dei suoi territori. Mancava quindi quasi completamente, nei nuovi Paesi dell’Unione Europea, quella «idea di Europa» che aveva permesso ai «sei» di affrancarsi dalle tentazioni del nazionalismo.
L’adesione di questi nuovi arrivati alla Nato ha peggiorato la situazione. Mentre noi avevamo aderito all’Alleanza Atlantica in un momento, dopo la crisi di Berlino del 1948, in cui era lecito nutrire qualche sospetto sulle reali intenzioni dell’Unione Sovietica, l’adesione della Polonia e di altri ex satelliti ha avuto l’effetto di trasformare in potenziale nemico un Paese, la Russia, con cui era possibile costruire relazioni di comune utilità e interesse.