la Repubblica, 13 gennaio 2016
Il triste video di Di Maio, Fico e Di Battista
A occhi bassi Di Maio; statico, pallido e provato Fico; inutilmente contento e garrulo tra i due Alessandro Di Battista: come se le sue parole, tante parole, troppe parole, alleviassero la comune passeggiatina sui carboni ardenti.
Quella che con inesorabile regolarità i politici di questo tempo designano «controffensiva» si è confermata ieri una visione un po’ patetica e non sai bene quanto efficace, forse pochissimo, o peggio.Vero è che in genere, per questo genere di rituali «a discolpa», i potenti e i loro spin doctor affidano la pratica a qualche affidabile salotto televisivo. Quanti se ne sono visti, per dire, a Porta a porta! Così s’è venuto a formare una specie di protocollo: il presidente, il ministro o il leader sotto tiro vengono accolti con un applauso dal finto pubblico e una volta comodi sulle fatidiche poltroncine sono cortesemente «intervistati», o suppergiù, mentre sul fondale si erge di solito una enorme foto dell’imputato di turno e la scritta che perentoria annuncia: “Adesso parlo io”.Ma i cinquestelle? Beh, il video fai-da-te pubblicato ieri su Facebook era davvero molto triste, nel senso di tecnicamente improvvisato, povero e anche piuttosto contraddittorio. Altro che “una bella controffensiva!”, come l’ha presentata al termine della sua concione l’onorevole Di Battista, che ieri sera si è poi trasferito nello studio di Lilli Gruber su La7.Di Maio è andato a sedersi sulle spine di Ballarò. La giornata si era aperta di buon ora con altri interventi tele-grillini, Carlo Martelli a UnoMattina e Giovanni Endrizzi ad Agorà – ma anche questa improvvisa corsa al video, questa massiva occupazione della televisione, dopo averne detto a lungo peste e corna, può risultare smodata e sospetta, per non qualificare anch’essa nel novero degli errori cosiddetti mediatici.E questo è davvero un insolito guaio per un movimento, l’M5S, da questo punto di vista assai evoluto: fondato da un uomo di palcoscenico, mosso sul piano della proiezione esterna da una figura di guru alla Casaleggio e governato – secondo alcuni fin troppo ecomunque con mano poco leggera – dal professionalizzatissimo Staff della Comunicazione, completo di coach-trainer e specialisti di una disciplina che si chiama «Programmazione neuro linguistica».Come non comprendere che lo schermo è piccolo e tre persone danno un effetto di gente pigiata in un autobus? Ecco, il video era troppo «neuro» e al tempo stesso lo era troppo poco. Nel senso che Di Battista non riusciva a trascinare gli altri due, offeso e distante Di Maio, abbattuto e con lo sguardo abbastanza perso Fico. L’uno e l’altro oltretutto presentati solennemente con le loro cariche istituzionali, come neanche ai tempi dei più maturi democristiani.Ora, è antipatico e magari perfino vano disporsi come maestrini di estetica televisiva. Per cui tutto e il contrario di tutto si può pensare, notare e dire della controversa storia di Quarto, ma anche della performance: che i tre deglutivano, che si sono a tratti impappinati e a turno hanno fatto il gesto di mostrare ingenuamente i loro cellulari riguardo questo o quel frammento Whatsapp scambiato con questo o con quell’altro protagonista di una storia molto più complessa di quanto potessero seguirla i telespettatori.Il livido Di Maio, in quest’occasione più primo della classe che candidato premier rassicurante, faceva sì-sì con la testa e minacciava querele, classico numero da talk; Di Battista diceva «in primis» e «ci può stare!», e quando intimava il Pd a «stare zitto» eccotelo lì con il dito sulla bocca, come in quinta elementare; Fico vabbè, dirlo abbacchiato dice tutto e pure di più.A voler essere (ancora) più maliziosi sembrava non solo che i tre patissero di dover dividere la scena, ma anche e soprattutto che dietro alla disarmonia di quei leader in erba ci fosse l’ira funesta e ingenerosa dei grandi vecchi, Grillo e Casaleggio: «Voi avete fatto questo impiccio e ora tocca a voi sbrogliarlo, e anche con una certa fretta».Tutto questo è finito con le solite chiacchiere, che sono la dannazione della politica e ogni giorno ne abbattono la residua credibilità. Tra le prove cui i grillini sottopongono i candidati c’è un esame tv chiamato «la graticola». Ma la graticola vera è molto peggio.