ItaliaOggi, 12 gennaio 2016
Il Kunstmuseum di Ravensburg, il museo dell’anno per il 2015 (a prova di furti)
Nei musei italiani è facile sgraffignare un quadro. Come resistere alla tentazione se nessuno sorveglia? Una volta fui tentato anch’io, nel lontanissimo 1967, alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, durante la mostra «Le muse inquietanti», allestita da Luigi Carluccio. Al secondo piano mi imbattei in un quadro che amavo, Donna con teste di rose di Dalì.
Mi ero immaginato che fosse enorme, invece era poco più grande di una cartolina. Un quarto d’ora prima della chiusura, i custodi spensero le luci per invitare i visitatori a sgomberare. Nella sala rimasi solo. Non c’erano impianti di allarme, potevo mettermi in tasca il quadretto e uscire. Inoltre, l’olio appartiene alla Kunsthaus di Zurigo. Rubare a un museo svizzero attenua la colpa?
Ero giovanissimo ma resistetti alla tentazione, più che altro per pigrizia. Non volevo tenermi il Dalì, ma dimostrare che il sistema di sicurezza era inefficiente. Qualche mese dopo, lessi che il quadretto era stato rubato a Zurigo, ed esposto da un gallerista ricettatore addirittura in vetrina a Parigi. Lo scoprì Dalì in persona, che avvertì la polizia. Quasi mezzo secolo dopo, in Italia la situazione è peggiorata. Ora spariscono tele gigantesche, ma come stupirsi, se consideriamo i musei meno degli stadi di calcio? Eppure, il turismo collegato al nostro patrimonio artistico è ormai la prima industria italiana. Come custodi, si annuncia, verranno assunti giovani a 430 euro al mese, e non i più preparati. Spesso i visitatori si imbattono in sale chiuse per mancanza di personale, invece di tenere aperti i musei sette giorni su sette.
In Germania, un custode appena assunto guadagna quasi il triplo. E i musei sono importanti. Il Kunstmuseum di Ravensburg è stato appena nominato museo dell’anno per il 2015. Per chi non lo sapesse, Ravensburg è una cittadina di 49 mila abitanti a pochi chilometri dal Lago di Costanza. «Hochburg der Kunst» è il titolo dell’articolo relativo in prima pagina della rivista Zeitkunst, come dire bastione dell’arte, o fortezza se vogliamo. La collega Katrin Neuwirth lo paragona a un magazzino di cereali del Medioevo, un cubo semplice in pietra, con poche finestre strette come feritoie. L’arte custodita come un bene deperibile.
Il Kunstmuseusm, progettato dagli architetti Arno Lederer e Jörunn Ragnarsdöttir, ha ricevuto l’Architekturpreis nel 2013. I ravensburghesi, si dirà così?, all’inizio protestarono per la spesa. Non c’era niente altro di più urgente? Si è sforato di poco il costo previsto (2,3 milioni di euro), ma non si precisa di quanto, e oggi i cittadini sono soddisfatti e orgogliosi. In un anno, si sono avuti 60 mila visitatori, pochi o molti, non conta solo il numero, ma chi sono, amanti dell’arte non attratti solo dalle grandi città. E come calcolare quanto avranno speso a Ravensburg?
Domanda che è inutile porre ai nostri politici. Noi facciamo poco, e di solito amiamo i progetti pomposi come il Maxxi a Roma. L’architetta Zaha Hadid è una delle migliori al mondo, ma il suo museo non è adatto all’arte, lo dico da visitatore, non da esperto. Le opere si perdono in spazi enormi ed è possibile esporre bene solo quadri di grandi dimensioni. L’edificio è un’opera d’arte in sé, non adatta alle opere d’arte.
Quando si stava per inaugurare il Beaubourg a Parigi, Renzo Piano fu bersagliato dalle critiche. Lo andai a intervistare e lui mi spiegò: il suo museo andava visto come una macchina, modificabile a seconda delle esigenze. Geniale perché semplice. Non sempre bisogna essere originali e innovativi a tutti i costi, soprattutto se costa troppo. Come dimostra Ravensburg.
Un museo che amo e che vado spesso a visitare è la Galleria d’Arte Moderna a Roma. Le opere vi sono esposte nella luce giusta, anche se è stato riadattato il padiglione italiano all’esposizione universale del 1911, opera dell’architetto Cesare Bazzani. Fu sempre Bazzani ad ampliare l’edificio nel 1933. Niente di straordinario e di moderno, dunque, ma un’opera funzionale. Mi piacerebbe trovare la cinquantina di sale sempre aperta, come avviene di rado perché mancano i custodi. Prometto al ministro Franceschini che tenterò di rubare qualche capolavoro. Mi piacerebbe solo rivederli, di quando in quando. E poi è difficile mettersi nella tasca della giacca, come il quadretto di Dalì, una tela di Burri. Almeno per me.