12 gennaio 2016
Chi era David Bowie
È nato a Brixton il 8 gennaio 1947. Nato David Robert Jones. Soprannominato Duca Bianco e Camaleonte del Rock. Primo concerto a 11 anni, al campo estivo degli scout di Bromley all’Isola di Wight. Primo disco nel ’67 David Bowie. Primo successo Space Oddity, nel ’69. Primo vero album Hunky Dory nel ’71, ma l’anno del trionfo fu il successivo, quello di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. «Io proverò tutto una volta nella vita» (David Bowie, che si autodefiniva trisessuale).
Ultime È morto David Bowie. Il cantautore e compositore britannico era malato di cancro da 18 mesi. Si è spento domenica notte. La notizia è stata pubblicata sui suoi account ufficiali lunedì mattina ed è stata confermata dal figlio maggiore Duncan («Very sorry and sad to say it’s true. I’ll be offline for a while. Love to all»). Il suo ultimo disco «★ (Blackstar)» è uscito l’otto gennaio, giorno del suo sessantanovesimo compleanno, due giorni prima che morisse.
• È un vero e proprio pellegrinaggio quello che ha visto centinaia di persone rendere omaggio a David Bowie davanti alla sua casa newyorkese tra Soho e Village. Al numero 285 di Lafayette Street è un tappeto di fiori, candele, peluche e biglietti lasciati da fan, appassionati e turisti. Le parole di cordoglio si alternano a lacrime e ricordi.
• Tre milioni di tweet in quattro ore: non per celebrare o rimpiangere, ma per dire grazie. Dai Rolling Stones, ovvio. Da Iggy Pop, ovvio. Da Madonna, ovvio. Ma anche da Cameron e Blair, da Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato.
• «Sono cresciuto ascoltano e guardando il genio pop di David Bowie. Era un maestro nel reinventarsi e continuava ad azzeccarci. Una perdita enorme» (il premier britannico David Cameron in un tweet).
• «Controllo a Maggiore Tom, comincia il conto alla rovescia, motori, controlla accensione e che l’amore di Dio sia con voi» (Tweet del cardinale Gianfranco Ravasi).
• «Sei tra gli Heroes. Grazie per aver aiutato a far cadere il Muro», ha twittato il ministero degli Esteri tedesco)
• «Ha sempre fatto quello che voleva fare. E voleva farlo a suo modo e nel modo migliore. La sua morte non era diversa dalla sua vita – un’opera d’arte. Ha fatto ★ (Blackstar) per noi, è stato il suo regalo d’addio. Sapevo da un anno che questa sarebbe stata la fine che avrebbe avuto. Tuttavia non ero preparato. David era un uomo straordinario, pieno di amore e di vita. Per ora è opportuno piangere» (il suo manager Tony Visconti). [Leggi qui l’articolo di Laffranchi su ★ (Blackstar)]
• Il suo epitaffio: «I don’t know where I’m going from here, but I promise it won’t be boring» (Non so dove sto andando ma vi prometto che non sarò noioso).
• L’ultima performance dal vivo risale a un concerto di beneficenza a New York nel 2006.
• Luca Dondoni: «Il comico e irriverente presentatore dei Golden Globes Ricky Gervais oltre che un attore di tutto rispetto è forse uno dei v.i.p inglesi che più di altri si è sempre dichiarato “maniacalmente fan” di David Bowie. Sarà perciò curioso ricordare questo aneddoto che lo riguarda e riguarda il Duca Bianco in persona. “Dopo parecchi anni - racconta Gervais in un’intervista rilasciata qualche anno fa - riuscii finalmente a mettermi in contatto con Bowie e addirittura a ragionare su un eventuale coinvolgimento professionale. Quell’accadimento poi non ebbe luogo ma mi fece entrare nelle simpatie di David. Per questo quando compì 65 anni mi permisi di mandargli un messaggio: Hey David, da oggi ti senti un po’ più vecchio? Ricky Gervais. Comico. Mi rispose così: ‘No, David Bowie. GodStar». Direi che basti per capire di chi stiamo parlando. Mai più nessuno come lui’”» [stampa.it].
• «L’uomo che trent’anni fa ha lanciato la moda bisex fra i cultori del rock e la cui passione per la sperimentazione musicale e di altro genere ha portato molti a ipotizzare che il suo personaggio, l’alieno, non fosse soltanto una finzione» (Alan Di Perna) [Alain Di Perna, Rep 1/5/2002].
• «Era la prima volta che uscivo con un ragazzo che si truccava più di me» (Amanda Lear a proposito di David Bowie, sua vecchia fiamma) [Guia Soncini, Fog 19/4/2002].
Vita Figlio della piccola borghesia, inglesissima, della capitale. Mikal Gilmore: «La madre, Margaret Burns – che tutti però chiamavano Peggy –, era la prima di sei figli nati in una famiglia non esattamente equilibratissima a Kent County, Inghilterra. Tre delle sue sorelle soffrivano di disturbi mentali e, secondo alcuni, lei stessa era un soggetto borderline. Poco prima della Seconda Guerra Mondiale, Peggy aveva avuto una storia d’amore dalla quale, nel 1937, nacque il suo primo figlio, Terence (da una successiva relazione avrebbe avuto anche un’altra figlia, data però in adozione). A 33 anni, Peggy incontrò poi Haywood Stenton Jones, un uomo sposato a sua volta padre di una bambina. Haywood, detto “John”, aveva gestito una sala concerti a Londra fino a che il locale non era fallito, gettandolo sul lastrico. John divorziò dalla moglie nel 1946, sposando Peggy subito dopo. È l’8 gennaio 1947, a Brixton, nasceva il loro unico figlio: David Robert Jones. David era chiaramente il preferito di Peggy: da neonato – per dire – lei lo portava in giro su un cuscino, e quando fu un po’ più grande si divertiva a farlo giocare con i suoi trucchi. Del primogenito Terry, invece, sia lei sia John si preoccupavano giusto il minimo: che avesse da mangiare, sì, ma poco di più. David, invece, amava e stimava sinceramente il fratello, che a sua volta gli dimostrava grande affetto. Nel 1956, Terry entrò nella Royal Air Force per due anni. Quando tornò a casa, era cambiato: era sempre sovreccitato, non si curava del suo aspetto esteriore. I medici gli diagnosticarono una schizofrenia paranoica. Fu proprio Terry, però, a inculcare in David alcune delle sue prime, importanti influenze: il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, autori beat come Jack Kerouac e William Burroughs e lo scrittore (e futuro amico di Bowie) Christopher Isherwood. Con l’esempio del fratellastro Terry sempre di fronte a lui, per anni Bowie si preoccupò che la sua stessa psiche potesse essere a rischio. Come spiegò in un’intervista nel 1993: «È proprio tentando di fuggire dallo spettro della follia che spesso uno si procura i peggiori danni. Io, per fortuna, mi sono sempre sbarazzato di questi alti e bassi psicologici riversandoli nella mia musica» [Rolling Stone 5/2012].
• Nel 1956 David ricevette in regalo dal padre un disco che gli cambiò letteralmente la vita: Tutti Frutti, il primo, esplosivo singolo del re del rock&roll Little Richard: «A otto anni volevo essere un Little Richard bianco, o almeno il suo sassofonista» (David Bowie) [Ian Buruma, la Repubblica 9/6/2013].
• «A 15 anni ha imparato a suonare il sassofono perché lo riteneva lo strumento simbolo della beat generation nella West Coast (per maestro ebbe Ronnie Ross, lo stesso che eseguì l’assolo nella Walk On The Wild Side di Lou Reed). A vent’anni, parallelamente alle meditazioni indiane dei Beatles, si è sbronzato di buddhismo con tanto di isolamento mistico con i Lama tibetani in Scozia. Mai quieto, non necessariamente continuo. David Bowie è il pioniere che schizza sullo spazio (e forse neanche torna). L’artista che tracima, che travolge, che esonda. Uno, nessuno e centomila. Più che altro centomila» [Scanzi, Fat 9/1/2013].
• «Un giorno incontrò Ken Pitt, un uomo che la pensava esattamente allo stesso modo. Pitt era un manager sofisticato e versatile. Aveva organizzato uno dei primi tour inglesi di Bob Dylan, e tra i suoi clienti c’erano l’estroso pianista Liberace e i Manfred Mann nel loro periodo beat. Nel 1966, dopo aver visto David al Marquee di Londra, Pitt si convinse di aver trovato qualcuno “con lo stesso magnetismo di Frank Sinatra”. In breve divenne il suo manager e gli procurò un contratto come solista. Inoltre, gli permise di vivere a casa sua, salvandolo dall’assillo continuo di Peggy e dal tormentato rapporto che c’era tra i genitori e suo fratello Terry. Secondo alcuni, Pitt aveva anche un interesse sessuale nei confronti del suo nuovo coinquilino. Lui ha sempre negato, ma in un’occasione ha dichiarato che: “Per David era sempre fonte di grande piacere sfilarsi i vestiti. Talvolta si sedeva a gambe incrociate con le casse dello stereo a tutto volume, altre volte si aggirava per l’appartamento con il suo lungo, poderoso pene che oscillava da una parte all’altra come il pendolo di un orologio”» (Mikal Gilmore) Rolling Stone 5/2012].
• Il suo cognome di battesimo, Jones, rischiava di farlo confondere con Davey Jones dei Monkees. Si chiamò dunque Bowie, ispirato dal coltello bowie knife [Venegoni, Sta 19/1/2006]. David pensava che questo cognome suggerisse l’immagine di una lama affondata nelle verità più profonde [Gilmore, Rolling Stone 5/2012].
• « Il 14 gennaio 1966, ad appena 19 anni, il Duca Bianco pubblicava il suo primo singolo con un titolo che era già un programma, nel solco della “Me generation”: Can’t Help Thinkin’ About Me (non posso fare a meno di pensare a me). Firmato David Bowie e The Lower Third. Era un ragazzetto che le acciughe avrebbero detto magro, biondissimo: già con un’aria misteriosa e ambigua, già affascinante e voglioso di uscire dai canoni dei primi dèi del rock di qualche anno più anziani, tentato dallo sperimentalismo ma non ancora sicuro della strada da infilare. Cantava e suonava il sax, amava l’underground ma anche Little Richard e il folk. Nel 1967 David Bowie è il suo primo album, ancora di ispirazione confusa e molteplice, ma già chiaramente fuori dagli schemi della musica che impazza nella Swingin’ London. Un alieno del musicbusiness, e il suo primo successo non può che intitolarsi Space Oddity, ispirato all’Apollo 8, con un testo avveniristico (“Ground Control to Major Tom.../Take Your Protein Pills and Put Your Helmet On..”), che curiosamente sarà tradotto da Mogol, e lui lo canterà in italiano, con il titolo Ragazza Sola, Ragazzo Solo. È il primo pezzo di ispirazione spaziale della storia del rock, e finirà per segnare la voglia di futuro che continuerà a ispirarlo nel tempo» (Marinella Venegoni) [Sta 19/1/2006].
• Mogol: «Quando mi chiamarono per lavorarci, provai a leggere il testo. Francamente non ci si capiva granché. Era abbastanza criptico. Così decisi di fare come avevo fatto per Whiter shade of pale dei Procol Harum, anche quello un pezzo il cui testo era intraducibile in italiano. Lo feci ex novo, come se si trattasse di scrivere su un brano musicale inedito. Bowie lo cantò con la sua voce dal forte accento inglese, probabilmente senza capire cosa diceva il testo, con qualche difficoltà per la pronuncia delle parole italiane. Il pezzo però era bello, a lui piaceva, e fu un buon successo. […]Ma non è questa l’unica occasione in cui ho avuto rapporti, sia pure indiretti, con Bowie. Fu lui, a sua volta, a decidere di tradurre in ingleseIo vorrei, non vorrei, ma se vuoi, il grande successo mio e di Lucio Battisti. Ne fece una versione che si intitolava in modo misteriosoMusic is lethal che venne incisa dal chitarrista di David, Mick Ronson. E questa seconda collaborazione ha sicuramente permesso di lanciare e promuovere questo pezzo in tutto il mondo» [Mess 12/1/2016].
• «Il suo primo disco, pubblicato nel giugno del 1967, oscillava invece tra un lirismo da chanson francese (alla Jacques Brel) ed eleganti ballate teatrali: e l’effetto complessivo era troppo tenue per distinguersi nella psichedelia degli anni ’60. L’album attirò comunque l’attenzione di Lindsay Kemp: attore, mimo e insegnante di danza. Sotto la guida di Kemp, Bowie imparò a muoversi sul palco, a sfruttare le luci e l’ombra per sottolineare determinati passaggi delle proprie canzoni, a indossare il trucco bianco da mimo. E fa sempre grazie a Kemp che Bowie conobbe il kabuki giapponese, il Teatro dell’assurdo e Jean Genet. Bowie divenne l’amante di Kemp, il quale prese molto sul serio la relazione. Non altrettanto David: e quando Kemp scopri che lui andava a letto con una delle sue designer di scena, si tagliò i polsi. Poi, la sera stessa, dopo essersi fatto medicare, salì sul palco con le garze sanguinanti. E David al suo fianco, in lacrime» [Gilmore, Rolling Stone 5/2012].
• «Sono gay, lo sono sempre stato, anche quando ero David Jones» (nella sua intervista più famosa di sempre, quella al Melody Maker nel 1972).
• Sposò Angela Barnett. Mickal Gilmore: «All’inizio, lui la chiamava “la luna e le stelle”. Salvo, anni dopo, finire per provare nei suoi confronti un risentimento così grande come non avrebbe mai, in tutta la vita, provato per nessun altro».
• Angela Barnett (Cipro 1950), figlia di un ingegnere minerario, un fervente cattolico che le chiese di restare vergine almeno fino ai 18 anni. Ma lei durante il college ebbe una relazione con una compagna ma quando un segretario della scuola le chiese conto di quella storia, Angela andò nel panico e si gettò dalla finestra del quarto piano, salvandosi per miracolo. Conobbe Bowie alla fine degli anni ’60 a un concerto dei King Crimson: i due finirono a letto insieme la notte stessa. «Era un vero stallone!». Gilmore: «Angela sapeva perfettamente com’era Bowie, compreso il fatto che lui fosse solito andare a letto con altre persone, uomini inclusi, ma ugualmente non riusciva a non assillarlo con la propria gelosia. I due finirono comunque per sposarsi, mettendo al mondo un figlio, Duncan Zowie Haywood Jones, nato nel maggio del 1971. Spulciando tra le dichiarazioni rilasciate nel corso degli anni, appare ovvio come Angela sia convinta di essere lei l’ispiratrice di molta della radicalità di Bowie: se non politicamente, certamente dal punto di vista sessuale. Quel che è certo è che c’era lei, al fianco di David, in uno dei momenti più dolorosi della sua esistenza: la morte del padre, nel 1969, a causa di una polmonite trascurata. Ritenendo la madre Peggy direttamente responsabile di quella morte (pare che, durante una crisi respiratoria del marito, attese troppo per chiamare il soccorso medico), Bowie decise da quel momento di tagliare definitivamente i ponti con lei. Ciò sconvolse ulteriormente la già fragile Peggy, che a sua volta abbandonò l’altro figlio, Terry, affidandolo al Cane Hill Hospital di Croydon, una clinica per malati mentali gravi. Da lì in poi, le poche volte che a Terry era consentito uscire, a ospitarlo erano David e Angela nella loro casa di Londra. David però era combattuto: da un lato voleva molto bene a Terry, dall’altro aveva un abnorme paura di vivere a stretto contatto con la schizofrenia».
• «Sono una persona decisamente... fredda. Non c’è nulla che mi faccia realmente provare qualcosa: sono sempre come intorpidito. Una sorta di uomo di ghiaccio» (David Bowie a Rolling Stone nel 1973).
• «Space Oddity evocava l’immagine di un uomo perso nello spazio e abbandonato al suo incerto destino: un ritratto del bipolarismo di Bowie, ma anche degli ideali e delle speranze degli anni ’60 in procinto di svanire. Quel periodo coincise anche con il trasloco di David e Angela a Haddon Hall, una casa vittoriana con le finestre gotiche. Il produttore Tony Visconti, che abitò lì per un periodo insieme ad altri musicisti, ricorda che i due erano soliti rientrare a notte fonda in compagnia di gente rimorchiata nei locali: E non ho idea di cosa facessero. E, ha raccontato a David Buckiey nel libro Strange Fascination, “so solo che noi non riuscivamo a chiudere occhio a causa delle risate e dei gemiti che provenivano dalle loro stanze”. Nel 1970 uscì The Man Who Sold the Word, una storia di paranoia e sopravvivenza dove la musica era perfettamente in linea con il tono stridente e dissonante dei testi. In quel momento, Bowie era finalmente pronto per abbattere qualsiasi confine […]. Il cambiamento fu ancora più evidente con il successivo Hunky Dory, del 1971, disco che per Bowie rappresentò una vera, grande scommessa» [Gilmore, Cit.].
• In Tv al The Old Grey Whistle Test suonò Queen Bitch. Vestito con anfibi rossi a mezza gamba e una specie di tuta da lavoro aperta sul petto, Bowie rovesciò sull’Inghilterra una canzonetta elettrica e incentrata su un uomo che, dentro una camera d’albergo da quattro soldi, aspetta inutilmente l’arrivo di un altro uomo, fino a impazzire di gelosia. In poco più di tre minuti, Bowie trasformò una fantasia abitualmente censurata dal buonsenso comune in una sorta di manifesto: una presa di posizione assai coraggiosa, che Bowie interpretò in maniera impeccabile, sicuro di sé [Gilmore, Cit.].
• Ziggy Stardust and the Spiders from Mars uscì nel 1972. Gilmore: «Per creare Ziggy, Bowie si ispirò a molte fonti. Per il nome disse di essersi rifatto a Legendary Stardust Cowboy, un cantante psychobilly texano: ma in mente aveva evidentemente anche Vince Taylor, una star minore del rock&roll anni ’60, famoso per il suo aspetto incredibilmente magro, un po’ malaticcio, ma al tempo stesso assai sexy.
• Nel 1974 a Bowie Burroughs chiese con sincera curiosità come funzionasse il suo lavoro, se pianificasse o meno tutta la sua attività e quale grado di controllo poteva esercitare sul suo prodotto artistico. Nella fattispecie era molto attratto dal disco che Bowie aveva da poco realizzato, ovvero Ziggy Stardust and the spiders from Mars, le cui tematiche apocalittiche e la visione di una salvezza che arriva dallo spazio siderale erano palesemente vicine alla sua poetica. Parlavano di Andy Wahrol, di Eliot, dell’America. Bowie del resto era nel suo periodo più creativo, era un giovane artista con una spregiudicata visione del suo lavoro [Gino Castaldo, Rep 13/1/2008].
• «Questa sequenza di album fece di Bowie una star a livelli paragonabili ai Beatles dell’epoca d’oro. Nessuno, del resto, aveva mai avuto il fegato di presentarsi in scena come lui: un volto scheletrico attraversato da un fulmine e gli occhi penetranti, uno di un colore diverso dall’altro. Nessuno si muoveva come lui – a tratti con incredibile grazia, a tratti in modo angosciante, contorto, disumano – e soprattutto nessuno si era mai vestito come lui: abiti femminili principeschi e pantaloni attillati che facevano del suo membro virile il centro esatto del palco […] con Bowie, il processo di “femminilizzazione” del macho era finalmente completo» [Gilmore, Cit.].
• Nel 1983, Bowie confesserà a Kurt Loder di Rolling Stone: «Dichiarare di essere bisex è stato l’errore più grande che io abbia mai fatto».
• Tra il 1972 e il 1973, Bowie e gli Spiders from Mars sono stati in tour per 18 mesi di fila. Nel libro di Fred e Judy Vermorel, Stardust: The Secret Life of Fans, un suo seguace dell’epoca ha raccontato agli autori: «Molti uomini si toglievano le mutande e giravano con i cazzi al vento... Ricordo una ragazza che lo succhiava a uno, mentre lui tentava di seguire il concerto. Era straordinario: era come se nessuno avesse più inibizioni». L’apoteosi fu la sera del 3 luglio 1973, all’Hammersmith Palais, ultima data del tour. «Quella sera volevo davvero che finisse tutto», ha spiegato Bowie nel suo libro del 2002 Moonage Daydream: The Life and Times of Ziggy Stardust: «Mi ero stancato dell’intero concetto dietro Ziggy, salire in scena ormai mi annoiava. Ero stanco e depresso». Alla fine del concerto, prima del bis con Rock and Roll Suicide, Bowie si rivolse al pubblico con la celebre frase: «Questo non è solo l’ultimo concerto del tour, ma anche il nostro ultimo concerto in assoluto. Addio, vi amiamo».
• Ian Buruma: «Il problema è che Bowie si lasciò trasportare un po’ troppo nel suo spazio siderale privato. Cominciò a pensare di essere Ziggy. Saggiamente cercò di ucciderlo sul palco, a Londra, nell’estate del 1973, quando annunciò che non sarebbe più stato Ziggy Stardust e che avrebbe sciolto la sua band, gli Spiders from Mars. Ma il personaggio di Ziggy continuò a perseguitarlo: “Quello stronzo non mi lasciò in pace per anni” […]. Ziggy, disse una volta, era il tipico profeta rock che aveva avuto tutto il successo possibile e non sapeva cosa farsene. In una bella canzone intitolata Fame (1975), cantava: “ Fame makes a man take things over/Fame lets him loose, hard to swallow/Fame puts you there where things are hollow” (La fama fa prendere tutto a un uomo/ La fama gli dà mano libera, difficile da mandar giù/ La fama ti mette dove le cose non hanno significato). Cominciò a citare Nietzsche nelle sue interviste, la morte di Dio. Espressioni come homo superior fecero capolino nelle sue canzoni. La combinazione fra droghe e isolamento da rockstar produsse anche qualche idea piuttosto bislacca su Hitler, “una delle prime rockstar”, e sulla Gran Bretagna che aveva bisogno di un leader fascista. Insomma, Bowie aveva bisogno di prendersi un periodo di tranquillità, lontano dalle tentazioni del superstar-system. E se lo prese, più o meno, in quel di Berlino» [Ian Buruma, la Repubblica 9/6/2013].
• Pregava, nel buio delle dipendenze e delle sue domande laceranti: Lord, I kneel and offer you my word on a wing And I’m trying hard to fit among your scheme of thing («Signore, mi inginocchio e ti offro la mia parola su un’ala / e cerco disperatamente di trovare un mio spazio nel tuo ordine delle cose») [Gianfranco Ravasi, S24 12/1/2015].
• «Non sono ateo e questo mi preoccupa, ma datemi un paio di mesi!» [Gianfranco Ravasi, S24 12/1/2015]..
• «Beveva di brutto: di notte girava per le strade vomitando. Urlava ai passanti: “Aiutatemi!”. Ma il momento più basso fu quando, nel 1976, arrivò alla Victoria Station di Londra su una Mercedes decapottabile, lasciandosi fotografare mentre – secondo alcuni – faceva il saluto romano. In Inghilterra la reazione fu furiosa e lo stesso Bowie rimase disgustato dalla foto: “Non sono fascista...”, disse al Melody Maker nell’ottobre del 1977. «Non è andata così, io ho solo salutato con la mano. Lo giuro sulla vita di mio figlio, ho solo salutato» [Gilmore, Cit.].
• Arrestato il 21 marzo 1976, a Rochester (New York) David Bowie era in una suite dell’Americana Rochester Hotel. Con lui c’erano due persone dello staff e il collega Iggy Pop: «A un tratto irrompono nella stanza quattro poliziotti. Trovano 182 grammi di marijuana e arrestano tutti. A margine del processo Bowie si prodigherà in un pubblico elogio degli agenti. “Sono stati molto cortesi e gentili” dirà. “Sono stati super”. La vicenda si concluse con una cauzione di 2mila dollari» [Gianni Poglio, Pan 11/10/2012].
• «L’uomo di spettacolo è solo un prodotto dell’immaginazione del pubblico. Siamo quello che la gente vuole» (David Bowie).
• Alla fine degli anni ’70 lasciò la moglie Angela. Il loro matrimonio era entrato in crisi dopo subito la nascita di Duncan (Battazzato Zowie), nel ’71, quando – traumatizzata dall’arrivo del bimbo e forse con uno spirito materno non dei più spiccati – Angela se ne andò immediatamente in Italia con un’amica, e questo comportamento ricordò probabilmente a Bowie quello della sua stessa madre con il fratellastro Terry. Prima del divorzio, Angela tentò più di una volta il suicidio [Gilmore, Cit.].
• Era un giorno del 1973 quando Angie, la bionda e sinuosa moglie di Bowie, entrò nella sua camera da letto e trovò suo marito e Mick Jagger, l’uomo bramato da ogni singola donna sulla superficie piuttosto estesa del pianeta, sotto le lenzuola. I due si alzarono di scatto, erano sudati e poi ci fu un silenzio che durò alcuni secondi. Fu David a romperlo e con tutta la sua classe inglese disse: “Ciao Angie, come stai?”. Angie tirò il sospiro più lungo della sua vita e rispose: “Bene grazie. Volete un po’ di caffè?”. David fece cenno di sì. Mick Mick, invece, rimase immobile, paralizzato, convinto di essere caduto in una imboscata emotiva da cui non avrebbe più potuto liberarsi. La sua amicizia con David era arcinota. Si facevano spesso fotografare assieme, anche in atteggiamenti affettuosi. Ma lui aveva giurato in giro non c’era e non ci sarebbe mai stato alcun rapporto sessuale. Chiuse discretamente la porta e andò in cucina. Angie preparò un vassoio su cui, oltre al caffé, mise anche del succo d’arancia. Lo portò a Mick e David. Poi disse: “Scusate, vado un po’ fuori a correre”» [Andrea Malaguti, Sta 11/7/2012].
• «Io ero certa che avessero fatto sesso. Era ovvio. Non mi ha mai neppure sfiorato l’idea che non fosse così» (Angie in un libro scritto da Christopher Andersen) [Andrea Malaguti, Sta 11/7/2012]
• Ava Cherry, una vocalist di colore a cui era capitato di vivere con i Bowie per un po’ di tempo, aveva confidato a un amico: «Mick e David erano ossessionati sessualmente l’uno dall’altro. Anche se sono stata a letto con loro tante volte, finivo sempre per essere messa da parte a guardarli» [Christopher Andersen, Mick Jagger. Gli eccessi, la pazzia, il genio, Sperling & Kupfer 2012].
• «Bebe Buell, l’alta e affascinante protagonista di un paginone centrale di Playboy, che per anni aveva intrattenuto relazioni con entrambi. […] Quando si resero conto che entrambi stavano portando avanti una relazione con Bebe, Bowie e Jagger fecero squadra per coinvolgerla in un’orgia o due. “Mi capitava di ricevere telefonate davvero strane da entrambi alle tre del mattino”, ha ricordato, “in cui mi invitavano a raggiungerli a letto insieme con quattro affascinanti donne di colore... o con quattro bei maschioni neri”. “Sessualmente, Mick cerca sempre di superare i suoi limiti”, ha concluso la Buell, “senza fare distinzioni. Ama chiunque in maniera incondizionata e non c’è nulla che lo fermi” […] Tra le varie cose che la modella ha confidato, c’era l’ipotesi che Mick avesse una sorta di feticismo per le scarpe; pare infatti che spesso si presentasse alle uscite galanti portando sotto il braccio delle scatole che contenevano sempre: “Un perfetto paio di scarpe décolletté, uno con i tacchi a spillo, uno con le zeppe” [Christopher Andersen, Mick Jagger. Gli eccessi, la pazzia, il genio, Sperling & Kupfer 2012].
• «Nel 1983 Bowie pubblicò quello che sarebbe rimasto come il più grande successo di tutta la sua carriera, Let’s Dance, e nello stesso anno s’imbarcò nel primo di una lunga serie di spettacolari tour mondiali. Si era nuovamente reinventato ed era ridiventato una superstar: il fantasma di Ziggy Stardust se ne era finalmente andato per sempre da quel palco scenico. Purtroppo, in quello stesso periodo suo fratello Terry provò a uccidersi per ben tre volte, riuscendoci, infine, il 16 gennaio 1985. Bowie non se la sentì di partecipare al funerale e mandò delle rose e un biglietto. C’era scritto: “Hai visto più cose di quante noi possiamo immaginarne. Ma tutti quei momenti andranno persi, come lacrime spazzate dalla pioggia. Dio ti benedica”» [Gilmore, Cit.].
• Nell’85 duetta con Mick Jagger in Dancin’ in the Street al Live Aid.
• Nel 1992 si sposa nella chiesa americana St. James a Firenze con la modella Iman. Nel 2000 i due avranno Alexandra (ma si erano già sposati con rito civile a Losanna, dopo un fidanzamento che durava dall’anno precedente). David Bowie: «Mi sono trasformato in uno di quei genitori rimbambiti che parlano in continuazione dei figli [...] Se non ci fosse Lexie sarebbe facile lasciarsi andare al nichilismo, ma la mia responsabilità di padre me lo proibisce [Vanity Fair 9/10/2003].
• Bowie considerava terza figlia anche Zulekha, nata dal precedente matrimonio di Iman.
• «Sono un vecchio musicante che vuole tornare presto a casa la sera dalla sua famiglia. Ecco, la famiglia, i miei figli, sono diventati la mia passione politica […] Il rock non è morto, è solo molto cambiato. Una volta era un linguaggio di ribellione, ora è un semplice bene di consumo. Può ancora sorprendere, può ancora affascinare, ma certo non ha il peso di una volta. Ma questo è ovvio: escono 35mila dischi nuovi ogni anno, il rock si disperde in questo mare. E non so bene che tipo di messaggio i ragazzi di oggi recepiscano, al proposito. Quanto a me, sono felice di avere ancora un’audience [...]. Non ci avrei scommesso» (a Riccardo Romani) [Cds 10/7/2002].
• Nel 1996, a tutela del suo tenore di vita, David Bowie lanciò sul mercato l’obbligazione decennale «David Bowie Bond», rendimento annuo del 7,9%, contro il 6,4% dei Bot inglesi. Fin dal primo giorno il titolo andò esaurito e l’artista ha incassò 55 milioni di dollari (circa 90 miliardi di lire). Bowie e la Fahenestock e Co (la società di brokeraggio che emise il titolo) garantirono il prestito con i beni del cantante e con le royalties che incassava per i dischi incisi nel corso della sua carriera e per le musichette varie che fanno da sigla a decine di giochi e videogiochi. L’agenzia di rating Moody’s ha promosso l’emissione con una tripla “A”, il voto più alto [Cds, 07/02/1996; Alessandro Plateroti, S24 7/2/1996].
• «Ho passato momenti terribili negli anni ’70. Tra droga e allucinazioni, ed è già tanto se sono ancora vivo».
• «Probabilmente con Internet fra due anni l’industria musicale non esisterà più. Niente più diritti d’autore. Nessuno farà più i soldi con i dischi. Il passaggio dall’analogico al digitale ha reso superfluo tutto quello che abbiamo conosciuto finora. Una rivoluzione come quella della Bibbia di Gutenberg: l’analogico costa, il digitale è gratis» (David Bowie) [Alain Di Perna, Rep 1/5/2002].
• Fu il primo artista che ha ripubblicare tutto il suo repertorio in cd. Nel febbraio 1985 fece uscire con la Rca 15 dischi e quattro antologie in cd [Piero Negri, la Stampa 2/10/2012].
• Nel 2007 ha ricevuto il Grammy alla carriera, nel 2008 era stato inserito al 23º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone.
• Nel 2010 era il più ricco rocker britannico: 650 milioni di euro di patrimonio personale [M.Murianni, E.S. Coscione, Novella 2000 11/11/2010].
• «I giovani artisti pensano: “Morirò entro 130 anni. Diventerò grandissimo e morirò”. Ma se non capita devi andare avanti. E compierne 30, e 40, 50, 57... E un territorio nuovo, nel quale io e quelli come me siamo pionieri. Stiamo cercando di capire cosa significa avere 57 anni ed essere una rockstar. E ovviamente quelli più giovani ci tengono gli occhi addosso. Dicono: “Guardalo, ormai è un vecchio!”. Ma dentro di loro, in segreto, pensano: “Mmh, prima o poi toccherà anche a me... Meglio imparare come si fa”. Ci sono i Travis lì seduti. E io lo so cosa stanno pensando di me. Stanno pensando: “Ehi, quel Bowie si tinge... Quello non può essere un biondo naturale”». (David Bowie, 29 novembre 2003, ospite a uno show della Bbc) [Paolo Madeddu, Rolling Stone maggio 2012].
• «Più che un artista, è un’icona, un fumetto consacrato di eleganza sofisticata e rarefatta, un bond da anni quotato in Borsa. Non è immune, però, dai guai che la natura umana comporta. Scomparso da ogni scena nel giugno del 2004, quando un infarto alla fine di un concerto fece temere per la sua vita, David Bowie dopo un’angioplastica ha cambiato vita; ha smesso di fumare e di bere, si è dato alla palestra» (Marinella Venegoni) [Sta 19/1/2006].
• «La sera del 18 giugno 2004, durante un concerto a Oslo, a David Bowie è arrivato un lecca lecca in un occhio. Ed è rimasto lì, incastrato. Potete vedere la foto su Internet: fa un po’ ridere – finché l’occhio non è il tuo, beninteso. Il bastoncino è entrato proprio bene, e proprio in quell’occhio. Bowie gridava di dolore e di rabbia: “Segaiolo, piccolo stupido segaiolo”. I suoi musicisti guardavano attoniti mentre un assistente rimuoveva l’incredibile (e un po’ mortificante) arma impropria. Una spettatrice ha poi spiegato di aver perso il controllo del lecca lecca per una spinta ricevuta mentre ballava. Dopo un po’ il concerto è ripreso» [Paolo Madeddu, Rolling Stone maggio 2012]
• Il Duca è tornato in scena il 12 marzo 2013, a dieci anni dall’ultimo disco Reality, con The next day e un singolo pieno di riferimenti alla città dove negli anni 70 diede il meglio di sé. Andrea Scanzi: «I tempi dilatati, dovuti anche a un intervento al cuore, servono anzitutto per rifiatare. Per guardarsi intorno. Per dedicarsi a una delle tante attività, dimenticando apparentemente le altre. Cantante, attore, compositore, polistrumentista. Il primo singolo inedito ha sonorità che ricordano il periodo berlinese (fine Settanta) e un titolo a cui finora non aveva mai voluto dare risposta. Where Are We Now?, “Dove siamo adesso?” Chiederselo, ieri, avrebbe significato fermarsi. Rinunciare alle rivoluzioni […]. Chi lo conosce per il duetto con i Queen (Under Pressure), chi per il fumetto bonelliano Dampyr (un personaggio è a lui ispirato), chi perché si è risposato a Firenze. E chi per gli “occhi di due colori” (falso: dopo un cazzotto all’occhio sinistro, la sua pupilla è rimasta più dilatata. Si chiama midriasi cronica. Era il 1962). David Bowie è molto di più. Conoscerlo interamente è impossibile. Il nuovo disco è una bella notizia inattesa, il singolo (assai dolente) lascia intuire un talento pressoché intatto. Bowie, come Bruce Springsteen e Neil Young, pare confermare che gli eroi non necessariamente son giovani e belli» [Scanzi, Fat 9/1/2013].
• «La musica di The Next Day, con il suo ritmo duro, quasi implacabile, sembra qualcosa che avrebbe potuto essere scritta negli anni Ottanta. Gli va riconosciuto che non prova a spacciarsi per giovane. Il tono dell’album è intriso di malinconia, denso di ricordi. Where Are We Now? È uno sguardo introspettivo sui giorni di Berlino: “ A man lost in time/Near Ka-DeWe/Just walking the dead…” (“Un uomo perso nel tempo/ vicino a KaDeWe/ che porta a spasso i morti…”). Nel video, la faccia di Bowie ancora una volta guarda in uno specchio, ma non c’è nessuna ombra di maquillage. È la faccia di un uomo di sessant’anni, ben conservato e ancora bello, che non nasconde le rughe e la pelle cascante. È un album estremamente professionale, con qualche melodia che rimane impressa. È il lavoro di un uomo che sembra tranquillo e soddisfatto di sé. Non assume più pose. È un lavoro dignitoso, maturo. Ma è rock and roll? Ma soprattutto: ha importanza? Forse Bowie ha spinto questa forma d’arte ai suoi limiti estremi e il rock sta diventando come il jazz, un genere che ha perso l’energia grezza della sua gioventù ed è entrato ormai in una venerabile vecchiaia» [Ian Buruma, la Repubblica 9/6/2013].
• «Come sconfiggere l’invecchiamento? Per lui il segreto sembra essere quello di essere non solo al passo dei tempi, ma di anticipare i giovani con mosse tecnologicamente avanzate. [...] Col tempo è diventato un osservatore, freddo, sottile, ha sostituito al caleidoscopio delle mutazioni continue una luce da visionario a riposo, si diverte a scattare fotografie e a trattarle a modo suo. [...] Vero d’altra parte che Bowie è soprattutto un inventore di maschere: arte e vita si confondono in allegria, ma con un’attitudine più rinascimentale che non strettamente rock. Più volte nella sua carriera non è riuscito a nascondere l’ambizione a porsi come una sorta di Uomo Nuovo, raffinato e mutevole, compendio delle nuove arti e delle nuove scienze, almeno fin da quando abbagliò il mondo del rock con la maschera di Ziggy Stardust. Certo nei dischi di oggi c’è solo l’eco pallida di quel vortice d’invenzioni, ma chi potrebbe condannarlo per questo? [...] A nessun costo vuole invecchiare (Never get old) e del resto per una rockstar c’è modo e modo di invecchiare. Lui, classe ’47, è di quelli che sembrano aver fatto il patto col diavolo (o che nascondono a casa il ritratto di Dorian Gray), splende d’inalterata eleganza e in fondo incide dischi come un signore d’altri tempi, anche se il suo segno è il rock, e tutto sommato lo pratica ancora bene. [...] I segni della sua alterità li porta in volto, soprattutto in quei tanto decantati occhi di diverso colore, dovuti a un incidente subito nell’infanzia, ma che sono diventati una specie di marchio visivo del suo stile» (Gino Castaldo) [Rep 9/9/2003].
• I suoi costumi sono andati in mostra al Victoria and Albert. Ian Buruma: «La tuta trapuntata e gli stivali di plastica rossi disegnati da Freddie Burretti per Bowie-Ziggy Stardust nel 1972. La mantellina tipo kimono chiazzata con il nome di Bowie in caratteri cinesi disegnata da Yamamoto Kansai per Aladdin Sanenel 1973. La surreale tuta a ragnatela con finte mani dalle unghie laccate di nero che solleticano i capezzoli, disegnata da Natasha Korniloff per il 1980 Floor Show del 1973. Il completo pantaloni e gilè neri disegnato da Ola Hudson per l’incarnazione bowiana del Duca Bianco nel 1976. E la redingote con una Union Jack deliziosamente anticata disegnata da Alexander McQueen nel 1997 (già esposta nella mostra Anglomania del 2006 al Metropolitan Museum di New York). E poi c’è il look nautico-perverso, la tuta in vinile nero “Tokyo Pop”, il mantello da torero, gli stivali turchese eccetera, eccetera [Ian Buruma, la Repubblica 9/6/2013].
• Ha ispirato stilisti come Alexander McQueen, Yamamoto Kansai, Dries van Noten, Jean-Paul Gaultier. I suoi straordinari costumi di scena, dalle tute in stile Kabuki al travestitismo à la Weimar, sono leggendari. Ragazzi di tutto il mondo hanno cercato di vestirsi come lui, di apparire come lui, di muoversi come lui [Ian Buruma, la Repubblica 9/6/2013]
• Nel 2009, alla prima di Moon, film girato dal figlio maggiore Duncan (in un’altra vita, battezzato «Zowie Bowie» e salutato con la canzone Kooks), ha posato per i fotografi col 41enne nato dal matrimonio conAngie, con la quale anche Duncan ha rotto i ponti da adolescente per andare a vivere con un padre che – a causa degli impegni – era spesso costretto ad affidarlo a tutori. «Sono felice per lui e orgoglioso da scoppiare», ha detto Bowie alla première, per poi lasciare la scena al figlio.
• «Va bene che mi facciate domande su mio padre. Ma vorrei che un giorno le faceste a lui su di me» (Duncan Jones, regista e figlio di David Bowie) [Fabio Canino, Novella 2000 30/7/2009]
• «Il cinema è stato ed è l’altro grande amore di Bowie. [...] Restano nel libro d’oro della storia professionale dell’artista almeno l’alieno di L’uomo che cadde sulla terra del 1976, Gigolò del ’78, Furyo di Oshima accanto a Ryuichi Sakamoto nell’82, Miriam si sveglia a mezzanotte dell’83, Absolute Beginners dell’86, l’allucinato Twin Peaks di David Lynch nel ’92. Il cinema non ha fatto altro che raccogliere l’ispirazione trasformistica e inquieta espressa dall’artista nel mondo del rock a partire dall’incontro con Lindsay Kemp nel ’67. Si dice che fossero amanti, e da lui imparò i segreti del mimo e della teatralità che lo portarono al suo più celebre personaggio, Ziggy Stardust simbolo di ambiguità sessuale, e più tardi al Tiny White Duke, alfiere della new wave musicale e autore di album leggendari. Oggi che i suoi ultimi dischi non hanno più fatto storia, oggi che la vita è sana e la moglie Iman vigila sulla sua tranquillità, David Bowie continua grazie a quel leggendario periodo a essere considerato un gigante della modernità: che, in fondo, è il tempo dove niente scompare e tutto si trasforma per tornare come prima» (Marinella Venegoni) [Sta 19/1/2006].
• Appassionato d’arte, diceva: «Sono come una gazza ladra: rubo il meglio dalla pittura ma poi mi sforzo di filtrarlo e rielaborarlo per creare qualcosa di unico, di mai visto prima». Ma sono sapeva dipingere. Vincenzo Trione :«Pur privo di abilità pittorica, egli è un inconsapevole erede dello sperimentalismo novecentesco. Ha la capacità di “ri-locare” le intuizioni di Dalí, di Warhol e di Lüthi in scenari postmoderni. In lui, c’è il performer, il situazionista, il body, il pop, l’artista fluxus. E lo showman. Nonostante queste differenze, la strategia cui si affidano Dylan e Bowie è la medesima. In una prima fase, restando nel loro specifico musicale, si aprono a contaminazioni e a collaborazioni. Commettono l’errore, però, di ritenere che, per essere artisti autentici, occorra dipingere» [Vincenzo Trione, la Lettura 3/2/2013].
• «Bowie sta cercando di catturare la forza dell’arte per sfruttarla nel suo lavoro. Vuol trasformare il musicista Bowie nell’artista Bowie. Che però fa schifo» (Così Hirst a proposito di Ziggy Stardust) [Vincenzo Trione, la Lettura 3/2/2013].
• Bowie ha avuto il successo che tutti sappiamo, perché ha aiutato altri a rivendicare identità un tempo temute, derise, negate. Tutti loro sono stati liberati da Ziggy Stardust, vero, ed è a lui che devono dire grazie. Ma la verità è che, senza David Bowie, Ziggy stesso non sarebbe mai stato libero [Gilmore, Rolling Stone 5/2012].
• «È stato capace di truffare il tempo, e non è solo una questione estetica» [Riccardo Romani, Cds 10/7/2002].
• Nel 2003 aveva giurato a Vanity Fair che avrebbe cantato fino a 80 anni proprio come Frank Sinatra
• «Mi sono rassegnato molto tempo fa a non essere molto chiaro quando cerco di spiegare come sento le cose» (David Bowie) [Il Giorno 9/6/2002].
• «Un tempo morire non era una possibilità concreta, se non nella visione della morte per overdose. Ma il destino ha voluto diversamente. Sono sopravvissuto e ora devo trapassare in modo più convenzionale» (David Bowie) [Vanity Fair 9/10/2003].
[Leggi qui anche la discografia completa]