La Stampa, 12 gennaio 2016
Come è andato il primo giorno del processo contro l’Infanta Cristina
Quando, un anno e mezzo fa, Juan Carlos è sceso dal trono di Spagna, forse ha scelto di sfuggire da un giorno come questo: sua figlia, l’Infanta Cristina, sul banco degli imputati, accusata di frode fiscale. La scena è storica, ma il cerimoniale non ha nulla di enfatico: un capannone industriale (o poco più) dell’isola di Maiorca, allestito per l’occasione ad arena legale per puntarle il dito contro. L’ambientazione non è regale, anzi: dall’altro lato della strada c’è il carcere di Palma, un casualità, che suona sinistra.
L’erede alla corona spagnola (sesta nella linea di successione) si ritrova seduta su una sedia scomoda, in ultima fila, sola, senza nemmeno il marito Iñaki Undargarin accanto. Di fronte ai suoi occhi, sopra la testa dei tre giudici, il ritratto di Flippo VI, il Re e fratello che le ha tolto il titolo di duchessa di Palma e di fatto l’ha estromessa dalla famiglia. Il padre Juan Carlos, il cui ruolo è oggetto di dibattito (storico, più che processuale) era stato chiaro negli anni scorsi: o il divorzio o la rinuncia ai diritti dinastici, lei si è ribellata e ha detto di no a entrambe le opzioni e qui a Palma le presentano il conto. Il nome dell’ex Re è risuonato quando l’avvocato dell’ex socio di Noos, Diego Torres lo ha chiamato a testimoniare (con il figlio): «Vengano ascoltati il suocero e il cognato di Urdangarin».
La giornata è iniziata presto: poco dopo le otto Cristina e Iñaki scendono dall’auto e non si fermano davanti ai microfoni, «hola», dice lei senza sorridere. Sul volto tutto il peso della situazione, gli anni «di martirio» (definizione dell’ex capo della Casa Reale Rafael Sottorno) hanno segnato un viso non più giovanile. Filippo VI segue il processo da Madrid, alle prese con un altra grana: la sfida secessionista catalana.
La prima udienza è dedicata alle questioni preliminari, parlano gli avvocati dei 18 imputati e delle parti civili. Lei resta seduta gelida e composta. Urdangarin, dall’altro lato della fila, è più agitato (rischia quasi vent’anni di carcere d’altronde) seduto accanto all’ex socio Diego Torres che oggi minaccia di coinvolgere tutta la Casa Reale: «Abbiamo sempre agito con il supporto della Corona», ha detto in un’intervista tv alla Sexta, domenica sera.
I temi per ora fanno solo da sfondo, le trame di corruzione, gli appalti milionari, gli affari d’oro.
Il processo Noos racconta, al di là delle implicazioni dei singoli, certi meccanismi duri a morire: bastava invocare il nome della monarchia per piegare i dirigenti pubblici e affidare all’istituto Noos diretto da Urdangarin consulenze a prezzi enormi. «Potevo dire di no al genero del re?» ha ripetuto spesso Jaume Matas, ex presidente delle Baleari, anche lui imputato. Gli amministratori, insomma, si sono trovati davanti al dilemma: favorire la Casa Reale o l’erario? E in molti si sono piegati.
Cristina difficilmente finirà in carcere, anzi ha buone probabilità di uscire dal processo già nei prossimi giorni. Una sentenza del Tribunale Supremo, la cosiddetta dottrina Botin (fu applicata al defunto presidente del Banco Santander) dice che si può processare un imputato di reati fiscali soltanto se la denuncia arriva dalla pubblica accusa. L’Infanta, chiamata in causa dall’associazione Mani Pulite e non dal pubblico ministero, in questo modo potrebbe evitare il giudizio. «Non applicare la dottrina sarebbe una discriminazione», ha detto ieri il pm Pedro Horrach, accogliendo la tesi della difesa. Un eventuale esonero della sorella del Re, va da sé, provocherebbe polemiche infinite, in parte già cominciate tra i manifestanti repubblicani radunati davanti all’aula: «La legge è uguale per tutti, ma solo per un giorno».