Corriere della Sera, 12 gennaio 2016
«Cancellare le cooperative non ha senso». Parla Marco Azzi, il presidente di Federcasse: «Stiamo risolvendo le crisi delle sei Bcc senza l’aiuto dello Stato ma con un sistema di solidarietà volontaristica»
«Non so perché il governo non abbia ancora deciso rispetto alla riforma delle Bcc. Auspichiamo che lo faccia al più presto. In linea con la proposta di autoriforma che abbiamo presentato».
Alessandro Azzi è presidente di Federcasse. La federazione che rappresenta quelle banche di credito cooperativo che il governo è determinato a riformare. Banchiere di lungo corso – dal 1985 è presidente della Bcc del Garda – Azzi pesa le parole perché ha chiarissimo un punto: per il settore il momento è delicato e cruciale. Paragonabile soltanto al 1993, quando, con il testo unico bancario, le casse rurali e artigiane diventarono banche di credito cooperativo.
Il presidente Renzi a ripetizione ha parlato di un sistema bancario con troppi cda. Ma il vostro modello di riforma non riduce le poltrone...
«I gettoni di presenza nei nostri cda oscillano tra i 100 e i 200 euro lordi onnicomprensivi e a seduta. Il nostro modello di riforma non offre prebende a nessuno. La questione è un’altra: se una comunità è in grado di esprimere una sua banca solida e in salute perché non dovrebbe farlo? Cancellare le singole Bcc sul territorio sarebbe come cancellare i Comuni. Non ha senso».
Il governo pensa a un modello sulla falsa riga del Crédit Agricole. Voi invece auspicate un sistema in cui ogni istituto mantenga la sua licenza bancaria, pur confluendo in un unico gruppo.
«Esattamente. E crediamo si tratti di un giusto equilibrio. Anche perché cancellare le identità porrebbe un problema di democrazia economica. Sarebbe ingiusto allinearsi a un modello standardizzato di banca gestito in santuari lontani dalla gente».
Un motivo potrebbe essere legato alla necessità di un sistema più efficiente e solido.
«Guardi, su questo mi permetta un punto d’orgoglio: non abbiamo niente da invidiare a nessuno. Anzi: il sistema Bcc nel 2015 ha contribuito al fondo di risoluzione (per salvare la banche in crisi, ndr; ) con 230 milioni. E nessuna delle banche in crisi apparteneva al credito cooperativo».
Veramente nel 2015 le Bcc in amministrazione straordinaria erano sei.
«E ha visto come è andata? Abbiamo gestito la situazione da soli, senza l’aiuto né dello Stato, come è ovvio, ma nemmeno delle altre banche. Tutte le sei crisi si risolveranno entro gennaio. Siamo abituati per cultura ad affrontare le criticità con un sistema di solidarietà volontaristica».
Si parla di 17 aziende di credito cooperativo in situazioni tali per cui il loro funzionamento sarebbe in dubbio già nei prossimi 18 mesi.
«Su 363 banche è normale che ci sia qualcuno in difficoltà. Ma il nostro sistema può vantare un Cet1 (indice di patrimonializzazione, ndr;) di tre punti superiore a qu ello delle altre banche. Siamo la componente più patrimonializzata dell’industria bancaria. In ogni caso non mi risultano 17 istituti in difficoltà».
In vista della riforma, è davvero convinto che le Bcc più solide siano dell’idea di garantire per le altre? E se le Bcc toscane o del Trentino volessero uscire dal sistema?
«Sono convinto che questo non avverrà».
Perché?
«Perché nel nostro modello le banche più solide avranno maggiore autonomia. E poi perché uscire dal sistema significa non riconoscere il segno dei tempi. Le Bcc più forti sanno che in un mercato così complesso bisogna puntare sulle economie di scala».
La vostra proposta di autoriforma era già pronta il 15 ottobre. Che riscontri avete avuto dal governo?
«Positivi. Sia dal ministro dell’Economia Padoan che dal sottosegretario Baretta».
Gli ultimi contatti?
«A novembre. Anche la Banca d’Italia ha valutato favorevolmente il nostro modello».
Vede insidie all’orizzonte? «Assolutamente no. Credo che il presidente Renzi abbia citato il Crédit Agricole per fare riferimento a un istituto solido. Esattamente quello che diventerà il sistema Bcc: il terzo gruppo bancario italiano e il primo per capitali italiani».