la Repubblica, 12 gennaio 2016
Giovani, belle e brave. Ecco le donne che rivoluzioneranno il futuro
Sono giovani, sono brave, hanno studiato in Italia e all’estero, parlano inglese quasi sempre da dio, vivono in laboratorio fra provette e microscopi, e hanno avuto un’idea per cambiare il mondo, ma davvero. Genetica, biotecnologie, nanomateriali: roba tosta. E si sono messe a fare impresa. Sono la prima generazione di donne startupper. Stanno arrivando spiazzando tutti i radar, smentendo le statistiche che dicono che, fra chi fa startup, le donne sono al massimo una su dieci; e il luogo comune che vuole che in campo scientifico le donne non siano mai abbastanza. Vero, verissimo purtroppo (anche se siamo il Paese di Rita Levi Montalcini e Fabiola Gianotti). Ma poi arrivi al Politecnico di Milano, una mattina di gennaio, per assistere alle presentazioni dei 19 finalisti di BioUpper, i 19 migliori progetti per startup sulle scienze della vita selezionati per un colosso del farmaco come Novartis, e scopri che la metà dei progetti è guidata da donne e che la metà di questa metà ha team di sole donne. Tutte donne, scienziate e imprenditrici.
Una cosa mai vista, eppure qualche segnale nel 2015 c’era. A dicembre a Cosenza, alla finale del Premio Nazionale Innovazione, che premia le migliori startup in ambito universitario, vince New Gluten World, il brevetto di Carmela Lamacchia, 44 anni, professoressa e ricercatrice di Foggia che ha fatto una scoperta sul grano bruciato che potrebbe cambiare per sempre la vita dei celiaci (e intanto ha convinto il re del grano Pasquale Casillo a investire quasi 2,5 milioni di euro nello sviluppo del prototipo). A luglio il colosso Qualcomm Robotics sceglie 10 startup in tutto il mondo da sostenere: una, Solenica, è una lampada robotica ideata dalla giovane biotecnologa romana Diva Tommei. E ad aprile Orange Fiber, fondata da Adriana Santanocito e Enrica Arena a Catania, per fare tessuti con gli scarti delle arance, vince il primo premio assoluto delle Nazioni Unite per la sostenibilità.
Casi belli ma isolati, che stanno diventando una valanga rosa (o meglio, una Nuvola Rosa, dal nome del progetto con il quale Microsoft ogni anno cerca di promuovere l’imprenditorialità femminile). Le loro storie di successo sono ancora tutte da scrivere, le finaliste di BioUpper sono tutte o quasi al giorno uno. Ma è quello che hanno fatto fin qui che sorprende e che emoziona.
All’università di Napoli per esempio c’è Rossella Tomaiuolo, 44 anni, professore di Medicina da laboratorio; un anno fa incontra Federica Cariati, 29 anni, appena tornata da un anno a Oxford. Passano giorni e notte in laboratorio assieme, studiando l’infertilità; con loro c’è Valeria D’Argenio, 35 anni, che si è laureata con la prof e ora è ricercatrice. Le tre inventano One4Two, un sistema che facilita la diagnosi dell’infertilità. «Fare una startup vuol dire mettersi totalmente in gioco», riflette Tomaiuolo, «ma non c’è scelta, i fondi sono finiti e non c’è altro modo per trovarli e dare opportunità ai giovani ricercatori. Gli uomini? Non li abbiamo mica esclusi, ma devo dire che stiamo benissimo così». Sono tutte donne anche quelle di Clover Therapeutics, un sistema per il rilascio controllato dei farmaci che punta a migliorare la somministrazione della chemioterapia. Ada Potenza ha 30 anni, Vita Guarini 27, Valeria Rizzello 32. Sono nate fra Lecce e Bari, si ritrovano ad un corso di alta formazione un anno fa: la ricerca non basta, provano la via dell’impresa, hanno un’idea per curare il cancro alla vescica, vincono un primo bando da quasi 100mila euro in Puglia, ora proveranno a realizzare una piattaforma aperta ad altre patologie.
Su una strada simile si sta muovendo un team dell’Istituto Italiano di tecnologia di Genova: dietro a Fluo Magneto ci sono Maria Elena Materia e Teresa Pellegrino, anni di laboratorio alle spalle studiando le nanoparticelle magnetiche, possibile alternativa alla chemio.
Tra la Brianza e Losanna sta nascendo Math2Ward: il leader è un luminare della matematica, Alfio Quarteroni, ma il team è tutto femminile, tre giovani laureate del Politecnico di Milano: Claudia Colciago, Valeria di Marco e Chiara Riccobene. «Vogliamo realizzare uno strumento matematico che possa servire al medico in corsia».