la Repubblica, 12 gennaio 2016
A Madaya si muore di fame
Tra le colline attigue alla frontiera libanese, a un’ora di automobile dal centro di Damasco, gran parte di una cittadina siriana è in preda alla fame. Madaya è sotto il controllo dei ribelli e delle forze filo-governative che l’assediano, ed è accerchiata da filo spinato, mine e cecchini appostati. La popolazione prepara zuppe d’erba, spezie e foglie d’olivo. Mangia asini e gatti. Si trascina fino agli ambulatori rimasti nei quali crolla, ricevendo poco più che sali minerali per reidratarsi. I vicini non si riconoscono più tra loro per le strade, perché i loro lineamenti sono cambiati e i loro volti sono scavati e smunti.Un tempo classificata Paese a medio reddito, la Siria oggi registra periodicamente morti dovute a malnutrizione. In un ambulatorio di Madaya, dove presta aiuto Medici senza frontiere, hanno perso la vita per malnutrizione almeno 28 persone, compresi sei neonati. Le 42mila persone intrappolate qui rappresentano un decimo della popolazione in aree assediate o remote.Tutto ciò accade mentre le Nazioni Unite fissano un nuovo ciclo di colloqui di pace per il 25 gennaio.Tutto ciò accade in mezzo all’escalation di interventi militari da parte di Russia e Usa. E accade non solo malgrado questi tentativi di mediazione, ma anche a causa loro, dato che le parti belligeranti si fanno beffe delle leggi internazionali e si lasciano adulare nei negoziati.Eppure a Madaya e nella vicina Zabadani, un tempo celebre stazione di soggiorno in montagna, di fronte alla carestia, le idee di un cambiamento politico hanno fatto passi indietro. Hamoudi, 27enne laureato in economia, che nel 2011 ha imbracciato le armi non appena il governo ha represso le proteste, dice che molti sono pronti ad arrendersi pur di avere di che sfamarsi, anche se sanno che li aspettano l’arresto e una condanna. «Durante la rivoluzione sognavo la democrazia e la libertà», dice Hamoudi in un’intervista via Skype: si esprime con lentezza e dalla sua voce trapela la sua debilitazione. «Oggi tutto ciò che sogno è cibo. Voglio mangiare. Non voglio morire di fame». Domenica sono morte di malnutrizione altre cinque persone, un bambino di 9 anni e quattro uomini sopra i 45 anni. I siriani intrappolati dietro le linee del fronte, senza accesso a cibo e medicine, sono circa 400mila.Sia la Russia, il più potente alleato del governo siriano, sia gli Stati Uniti stanno conducendo campagne di raid che dovrebbero prendere di mira i militanti dell’Is. Di fatto, però, i bombardamenti hanno complicato il tentativo di portare aiuti umanitari. Dall’autunno scorso sono state colpite circa 16 strutture sanitarie del Paese e sei associazioni umanitarie sono state allontanate dalla provincia di Idlib, dove l’Is è poco presente, ma dove le truppe siriane e russe bombardano sistematicamente altri gruppi ostili al presidente Bashar al Assad.Anche adesso che il governo siriano ha autorizzato l’arrivo di aiuti umanitari a Madaya, le forze governative stanno stringendo d’assedio un’altra cittadina in mano ai ribelli, Moadhamiyeh, alla periferia di Damasco, che nel 2013 subì un attacco chimico e un assedio di due anni conclusosi a vantaggio del governo. «Arrendetevi o sarete annientati», è il messaggio che gli abitanti dicono di aver ricevuto dai negoziatori di Assad.Usare l’arma della fame viola la legge internazionale. Tuttavia alcune potenze globali e regionali – come Russia, Iran, Stati Uniti e Arabia Saudita – sono incapaci di esercitare ulteriori pressioni sui loro alleati sul campo di battaglia. L’Onu dice che è stato accolto solo il 10 per cento di tutte le richieste di portare aiuti e soccorso. Andy Baxer di Oxfam dice che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza «hanno fatto poca differenza per i civili siriani».Le Nazioni Unite si sono trovate a più riprese invischiate in vari accordi per contrattare misere condizioni per portare cibo e medicine alla popolazione. Alcuni hanno previsto che i civili abbandonassero le loro case in cerca di aiuto e protezione, in contrasto con i principi di base dei soccorsi umanitari. I critici dicono che l’Onu, impaziente di mantenere il governo siriano al tavolo dei colloqui con l’opposizione, è disposta a tutto e si sta facendo ingannare. Nel frattempo, decine di persone ogni giorno si recano nell’ambulatorio di Madaya gestito da Medici senza frontiere, dice Khaled Mohammad, anestesista che ci ha mostrato le foto di un uomo ridotto a uno scheletro: Suleiman Fares, di 63 anni, è stato trovato morto dagli attivisti che erano riusciti a portargli del cibo a casa.