Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 12 Martedì calendario

I 100 anni Don Procopio Di Maggio. A Cinisi, il capomafia più anziano del mondo è stato festeggiato con sei minuti di fuochi d’artificio, una cena sontuosa e l’amarezza del fratello di Peppino Impastato

Nel paese di Peppino Impastato, i 100 anni del capomafia più anziano del mondo sono stati festeggiati con i fuochi d’artificio. Procopio Di Maggio, l’unico padrino della Cupola di Totò Riina rimasto in libertà, ha stretto mani e dispensato sorrisi per tutto il giorno, il 6 gennaio. Davvero in tanti lo hanno ossequiato davanti alla sua palazzina di piazza Martin Teresa, a due passi dal Municipio. E lui non si è tirato indietro, arzillo e determinato come sempre, nonostante sedici anni fa gli abbiano ucciso un figlio e un altro sia richiuso all’ergastolo. Don Procopio ha sette vite, dicono a Cinisi. È scampato a due attentati, nel 1983 e nel 1991. Anche questo festeggiava. E il giorno dei suoi 100 anni ha voluto organizzare una sontuosa cena per amici e parenti, alcuni arrivati dagli Stati Uniti: appuntamento per tutti in una delle sale ricevimento più eleganti del paese. Poi, a fine serata, sei minuti di fuochi di artificio che non sono passati inosservati il giorno dell’Epifania. Anche perché il sindaco Giangiacomo Palazzolo aveva imposto il divieto di qualsiasi gioco pirotecnico fino al 10 gennaio. E, invece, i festeggiamenti per i 100 anni del padrino sono stati visti da tutto il paese. E anche oltre, fino all’aeroporto dedicato a Falcone e Borsellino. Il primo cittadino di Cinisi insorge: «Oggi, Di Maggio è innocuo, ma questa è una vicenda che mi dà fastidio. Interverrò per prendere i dovuti provvedimenti».Eppure, a Cinisi, quei fuochi d’artificio sono piaciuti a molti. Le foto e il video della festa sono finiti su Facebook, fra centinaia di «mi piace». Il sindaco incalza: «Non ci devono essere dubbi, Di Maggio è un mafioso, così come suo figlio. Ma il paese non è mafioso. E credo che non dobbiamo dare risalto a questo gesto con cui il vecchio Di Maggio ha voluto dire, io sono ancora qui. Finiremmo per fare il suo gioco».Di quella festa con finale a sorpresa ha invece tanta voglia di parlare Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, il giovane coraggioso che dai microfoni di Radio Aut denunciava lo strapotere di don Tano Badalamenti, il capomafia di Cinisi che era anche uno dei padrini più influenti della Cupola. «Provo tanta amarezza per quello che è accaduto – dice – siamo di fronte a fatti negativi che bloccano la crescita di un paese. Spero che presto certi ricordi vengano cancellati: al funerale di mia madre, ad esempio, il paese non c’era. Ora, non dico che Di Maggio non dovesse festeggiare i 100 anni, un bel traguardo per lui, ma avrebbe potuto farlo in maniera più sobria». E, invece, il padrino e i suoi familiari hanno scelto la via più eclatante.Lui, naturalmente, dice non saperne niente di boss e cupole. Davanti all’uscio di casa si limita a dire: «Ma quale mafia?». E non smette di sorridere. Eppure, le sentenze spiegano che la famiglia Di Maggio non rappresenta solo il passato, ma anche il presente di Cosa nostra. Il patriarca del clan è ritenuto un fedelissimo di Riina e Provenzano. Un patto di fedeltà nato su un tradimento. Perché un tempo Procopio Di Maggio era uno dei picciotti di don Tano Badalamenti, il capomafia di Cinisi che ordinò la morte di Peppino Impastato. Poi, nel 1979, Badalamenti iniziò ad essere scalzato dai nuovi signori di Cosa nostra. Di Maggio capì che il vento era cambiato. E finì per tradire don Tano, gettandosi fra le braccia di Riina e Provenzano. Fu premiato con lo scettro del comando a Cinisi. Dopo don Procopio, negli ultimi vent’anni, sono arrivati i suoi figli: Peppone e Gaspare, il primo inghiottito dalla lupara bianca, il secondo ha fatto parte a pieno titolo nel nuovo stato maggiore dell’organizzazione. Il passato e il presente di Cosa nostra. Ma con sfumature diverse. Don Procopio è stato condannato al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino, ma è uscito indenne dall’accusa di aver ordinato una ventina di omicidi. Non ha avuto la stessa fortuna giudiziaria il figlio Gaspare, oggi al carcere duro. Ma non c’è aria di malinconia alla festa del padrino. Nelle foto, alza il calice. E i suoi fan scrivono su Facebook: «Altri cento di questi anni».